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Corea - toccata e fuga
Corea.
Corea? Già, che c’entra?!
Partiamo dall’inizio: il permesso temporaneo per visitare il Giappone è valido 90 giorni, ed i miei sarebbero scaduti il 28 novembre, il che non mi avrebbe permesso di attendere entro i confini nazionali la consegna dell’ambito certificato di eleggibilità e del conseguente visto lavorativo (già, visto lavorativo, nel prossimo articolo vi parlerò anche di questo).
Quindi, la soluzione più semplice è quella di uscire e rientrare, e la via più breve, economica e burocraticamente semplice è…andare in Corea!
Così dalla mattina alla sera mi ritrovo con un biglietto prenotato per Seoul, al prezzo di circa 140€, e dato che ormai devo buttare al vento un po’ di “spiccioli” decido di fare un piccolo investimento, e con poco meno del doppio rimango in Corea 5 giorni per visitare il 13° stato di questo viaggio, anche se senza la mia cavalcatura.
Parto da Narita, l’aeroporto di riferimento di Tokyo, anche se la prefettura è quella di Chiba: scomodo, perché lontano più di un’ora dai distretti centrali, e costoso raggiungerlo, a meno che come me non si decida di prendere la via più lunga (JR linea locale) che spendendo una mezzora in più fa risparmiare oltre la metà dei soldi, tra i 1200 ed i 1500Yen anziché 3000.
La compagnia scelta è la Eastar Jet, praticamente la Ryanair coreana.
Accendo il GPS, per curiosità, e scopro che l’aereo viaggia alla media di 660km/h ad un’altezza di circa 3500m, anche se in realtà dovrei esprimermi in miglia orarie per la velocità ed in piedi per l’altezza…ma vabeh!
In breve copriamo i circa 900km che separano in linea retta Tokyo da Seoul, mai presa una via più diretta fino ad ora in questo viaggio!
Arrivo all’Incheon e per prima cosa cambio gli ultimi dollari rimastimi in KRW, ovvero Won coreani, il cambio è 1$=1000KRW circa, per l’euro stiamo sui 1340KRW invece…mi sembra di essere ricco, ma quando vedo i prezzi sembra che tutto costi troppo per le cifre in eccesso!
Nonostante arrivi alle 14.30, anche l’Incheon essendo lontano da Seoul non mi permette di arrivare dal mio host Couchsurfing HA (si, si chiama HA!) prima delle 17, e poi, mentre che aspetto che lui termini la sua giornata lavorativa, si fanno le 19: andiamo in centro e ceniamo in una “bettola”, dove ci raggiungono anche un paio di suoi amici e “Stella”.
Chi è Stella? Ve lo racconto dopo, una cosa per volta…adesso gustiamoci un po’ di “pizza” coreana, una specie di frittate, o pancake, non saprei come chiamarle, con verdure e carne, ed una scarica di “side dishes”, ovvero contorni, che qui in Corea sono gratuiti e ne portano a volontà insieme al piatto principale.
E’ stato il compleanno di HA proprio l’altro ieri, ed ancora non ha festeggiato…beh, questa è l’occasione giusta, e approfittiamo per far festa!
Al termine della serata dobbiamo rincasare immediatamente, prima che alle 23.30 chiuda la metropolitana; noto con piacere che qui i trasporti costano molto poco, con 1000KRW si va praticamente ovunque, ed anche il trasferimento in treno per il centro di Seoul è costato un buon 70% in meno di quello da Tokyo a Narita.
Ed il bello è che i treni sono efficienti, puliti, moderni, con la maggior parte delle stazioni tipo “tube” di Londra. Un + alla Corea.
Un – invece perché le persone non sembrano ancora aver capito la regola che bisogna prima lasciare uscire e poi entrare…beh però simpatici, come da noi in Italia, ah ah!
Comincia il self-tour di Seoul, con dietro il GPS con tutti i waypoint segnati mi faccio da una parte e risalgo la città prima da sud a nord e poi da ovest a est.
Scendo alla stazione city hall, dove ovviamente c’è il municipio, che non può non essere un edificio particolare, ed appena esco dalla scala della metropolitana mi si para davanti agli occhi un’estrusione tridimensionale di vetro ed acciaio combinati in un’opera d’arte moderna.
Prendo la direttrice principale, che conduce dritta verso Gyeongbokgung, il più grande dei palazzi delle dinastie reali coreane.
E cosa mi trovo davanti?!
Uno smanettone…ma non smanettone motociclista, ovvero non solo, questo è pure smanettone da smartphone: ne ha ben 4 (quattro) montati su di un supporto artigianale provvisto anche di parasole…incredibile, Corea, il paese della Samsung!
Lungo il tragitto trovo anche l’ingresso al palazzo Deoksugung, che per il momento decido di evitare.
La porta di ingresso ricorda un po’ lo stile che si trova in Giappone, e allora sorge spontanea la domanda: è nato prima l’uovo o la gallina?
Chi per primo ha cominciato a costruire in legno con queste architetture e colori?
Mi avvicino al palazzo, mentre sorpasso la statua del re Sejong, ricordato da tutti come l’inventore dell’alfabeto fonetico coreano.
Il palazzo si avvicina, e man mano che ne carpisco il dettaglio riconosco che la sua porta è quella famosa che si vede spesso nei depliant.
Si paga un tot per l’ingresso, sui 2-3€ che valgono quello che si trova all’interno, una serie di porte ed un palazzo, attorniati da cinte murarie e vari altri edifici, in parte (gran parte a occhio) ricostruiti dopo l’incendio parziale appiccato dai giapponesi durante l’invasione del 16° secolo (poi si capisce come mai tra coreani e giapponesi non scorra buon sangue) e l’abbandono per mancanza di fondi per il restauro fino agli anni ’60 del XX secolo.
Un altro aspetto in cui la Corea è simile al Giappone sono i combini, molto diffusi e allo stesso modo comodi: compro un bento coreano con cotoletta di maiale, riso e curry coreano, molto più piccante di quello giapponese, scoprirò poi che la cucina coreana è generalmente piccante.
Il tutto mi costa circa un 20-30% in meno che in Giappone.
Curioso, chissà a quanto ammontano i salari, dato che il costo della vita è genericamente abbastanza inferiore.
A pancia piena mi dirigo verso l’altro obbiettivo della giornata, il complesso palaziale di Changdeokgung, dove oltre alle innumerevoli costruzioni che ricordano un labirinto, ed ad alcuni notevoli palazzi, trovo pure un grande parco piacevole da scoprire mentre le foglie si ingialliscono o si illuminano di rosso fuoco.
Nel mezzo del parco si trova il padiglione esagonale Hyangwon, esattamente lo stesso amico della mia amica coreana (in realtà il nome completo del padiglione è Hyangwon-Jeong).
E’ ancora presto, e non essendo caldissimo (ci sono sui 5-6 gradi in meno che a Tokyo) decido di farmi una scarpinata fino al Bukchon Hanok village, un distretto dove è ben conservato il tessuto urbano di Seoul così come era 600 anni fa; al 99% è una ricostruzione fedele folcloristica destinata perlopiù ai turisti, dove però ancora vive la cittadinanza.
Ancora la serata non è finita e provo a visitare il famoso tempio Jongmyo, purtroppo quando arrivo al cancello poco dopo le 16, questo è già chiuso, così devo rimandare al giorno dopo.
Hyangwon (Stella, vi ricordate? Si fa chiamare così perché ha vissuto in Italia 7 anni tra Milano ed Arezzo) mi aspetta alle 19.30, appena uscita da lavoro, in zona Jongno-gu, stasera dovremmo mangiare qualcosa di più coreano rispetto a ieri, a base di harne come dice lei ricordando ancora il toscano.
C’è anche una sua amica, Unjo, collega sottoposta, il clima però è amichevole nonostante il rapporto di lavoro.
Mangiamo carne alla griglia che cuciniamo sul posto, si chiama gogigui ed è simile allo yakiniku giapponese, ottimo davvero!
Per finire la serata poi andiamo alla Namsan Tower, dove né Hyangwon né Unjo erano mai state…incredibile, vivono qui da sempre e “per colpa mia” adesso ci salgono per la prima volta!
Poi mi spiegano che avrebbero preferito rimandare perché il luogo è molto romantico e generalmente ci si va col fidanzato…vabbeh!
Il panorama è notevole, ma molto diverso da quello di Tokyo, almeno così mi pare, sarà il gioco di prospettiva diverso, qui siamo infatti in una posizione sopraelevata in mezzo al Namsan park.
Mi sveglio di buona lena e stavolta parto all’esplorazione dal lato est della città, dalla porta di ingresso alla città Heunginjimun.
Mi perdo un po’ tra le viuzze di questo quartiere, un groviglio di cavi penzolanti ed un’invasione di cartelli fanno di questa strada il regno del caos, ma a queste scene sono abituato anche in Giappone.
Mi dirigo alla piazza del design, che guarda caso ospita il padiglione di Zaha Hadid, ben riconoscibile per le forme astratte che ricordano equazioni di chissà quale branca della geometria analitica.
Tanti venditori ambulanti vendono il proprio prodotto in mezzo alla strada, qualunque cosa essa sia, e nessuno si fa scrupoli a vendere (o comprare) pesce tenuto nel bel mezzo di un marciapiede a fianco di una strada trafficata, sfilettato sul momento da un pescivendolo con chissà quali requisiti igienici!
Proprio a fianco del pescivendolo mi dà nell’occhio un mercato coperto: adoro i mercati, qui si vede di solito l’anima del popolo.
Sembra sporco, c’è odore di cibo ovunque, praticamente mi trovo all’interno di una enorme cucina open-air, fantastico, e tutto quello che è esposto sembra così tipicamente antica cucina coreana.
Fanculo alla sporcizia, voglio godere senza pensare a nessun tipo di igiene, e così mi metto a tavola al banco che più mi ispira (ce ne saranno stati oltre 100 e li ho tutti studiati bene prima di arrivare alla decisione!) e ordino alla simpatica cuoca degli gnocchi piccanti (sujebi) ed il sushiroll coreano (gimbap, che contiene verdure anziché pesce).
Veramente deliziosi…la porzione è abbondante ed a parte la signora mi serve pure un brodino delicato con tofu fritto.
Esco soddisfatto avendo speso neanche 5€, e rimpiango il fatto di non averlo scoperto prima, ci sarebbe da mangiarci tutti i giorni sedendosi a rotazione a tavoli sempre diversi e mangiando ogni volta pietanze dai gusti disparati.
Proseguendo verso il tempio noto un grande assembramento di anziani, mi avvicino e scopro quello che sembrerebbe il gioco nazionale: si chiama Go, e consiste in una tavola di legno con una griglia su cui si devono muovere dei confetti di plastica bianchi o neri.
Confesso che non ho avuto la pazienza di stare a capirne le regole, ma tutti quanti sembravano interessatissimi dall’esito delle partite e dalla tattica.
Un’altra cosa in cui la Corea assomiglia alla Cina (il Go è un gioco molto popolare in Cina) è la meditazione zen in mezzo ai parchi o addirittura in città, come questo gruppetto di anziani concentratissimi ad esercitarsi.
Finalmente arrivo all’ingresso del Jongmyo.
Scopro che esistono solo visite guidate, la cosa non mi fa impazzire, di solito preferisco fare i miei comodi impiegando il mio tempo e girando dove mi cade l’attenzione.
Beh, poco male, per una volta mi adeguo, e la guida ci introduce all’area del tempio.
I colori sono splendidi e la spiegazione è puntuale.
Anche questo tempio fu incendiato durante l’invasione giapponese (ancora nelle parole dei coreani si legge un profondo rammarico ed odio verso quello che è stato).
Il tempio principale consiste in un larghissimo edificio con ben 19 stanze dove sono sepolti i membri della famiglia reale.
Esco, soddisfatto anche se i tempi della visita erano calcolati, e mi trovo davanti ad uno sciopero.
Sciopero??
In Giappone lo sciopero non è concepito, non esiste proprio, ed in Corea invece mi vedo questo corteo: paesi simili ma molto diversi!
Mi spingo fino al mercato di Namdaemoon, che pensavo essere molto tradizionale ed invece vendeva al 90% cianfrusaglie e cineserie varie.
Insoddisfatto…speravo di trovare qualche oggetto carino da regalare ai miei amici giapponesi, ma niente da fare.
L’ultima meta della serata è infine la porta di ingresso sud, che si chiama come il mercato.
Distrutta nel 2008 da un pazzo piromane, è stata completamente ricostruita ed appare adesso al massimo del suo passato splendore.
L’intervento di ripristino è eccellente, la porta è imponente, anche se oramai in mezzo ai grattacieli sembra un nano.
L’ultima sera a Seoul andiamo con Hyangwon a Gangnam (si, il quartiere reso famoso da Psy, cantante coreano di “Gangnam style”) per l’ultima cena.
Il quartiere è quello dei nuovi ricchi, i giovani che hanno fatto soldi velocemente, e lo vogliono dare a vedere; il riassunto è appunto ben descritto, anche se enfatizzato, dal video di Psy.
La tavola si riempie di cibo e di mille piattini diversi, non so mai da dove cominciare!
Al termine sono sfinito, ma nonostante la quantità immensa di cibo servito il conto non è molto più alto di quanto non sarebbe in Italia il classico pizza e birra.
Torniamo con un amico di Hyangwon a Yongin, sua città di residenza, a circa 40km dalla capitale.
Fa più freddo, ma casa sua è accogliente e suo padre mi abbraccia come fossi suo amico da sempre…calorosi questi coreani!
La mattina dopo ci riposiamo un po’ di più, Hyangwon lavora molto (anche in Corea il lavoro è duro come in Giappone), e poco prima di pranzo andiamo al villaggio folcloristico qui vicino, dove è ricreato un antico villaggio coreano, con spiegata la cultura, la tradizione, e la storia.
Il Kimchi, come si faceva una volta: la verdura (cavolo cinese) era raccolta e conservata in grandi vasi che si mettevano spesso sottoterra, dove maturava per circa un mese.
Adesso ci sono elettrodomestici specifici che fanno lo stesso lavoro in modo più conveniente.
Ancora non ho capito come si chiami questo albero, che ha i colori autunnali più forti ed accesi…qualcuno lo conosce?
A pranzo scartiamo il nostro pasto e scopro che Hyangwon ha preparato dei panini con pane toscano e prosciutto, salame, e coppa…wow, fantastico…non è autentico al 100% ma apprezzo moltissimo la gentilezza ed il pensiero!!!
Finito il giro, torniamo a casa sua, che mi ricorda, come molti altri palazzi qua in Corea, i palazzi sovietici in versione moderna: con grandi numeri sul fianco, proprio come nei paesi ex URSS.
Chiaccherando con Hyangwon scopro che gli stipendi medi in Corea sono molto simili a quelli giapponesi, forse inferiori di circa il 10%, ma se si pensa che il costo della vita è in media inferiore del 30%, qui si ha un potere di acquisto maggiore…altro punto per la Corea!
Per cena si replica con cucina italiana: spaghettata, salumi, insalata e…OLIO TOSCANO!
Questo è stato il regalo più bello, autentico olio toscano, ed un sapore che evoca mille ricordi!
Subito dopo cena devo tornare a Seoul, per passare l’ultima notte da HA, di nuovo, che così pazientemente ha ospitato la mia roba a casa sua; da qui potrò raggiungere meglio l’Incheon.
Mi mancherà l’ospitalità coreana e quella di Hyangwon, che quasi non conoscendomi mi ha fatto sentire come a casa.
Un’ultima occhiata a Seoul, Namdaemoon.
Un nuovo sole sorge da Est, indicandomi la direzione da seguire per tornare di nuovo a…casa..
Impressione generale del popolo coreano?
Lo definirei un po’ come il popolo del sud da noi in Italia: più aperti, sgangherati, semplici da interpretare, senza retoriche nascoste. Bella gente.
Il timido Monte Fuji
Hokkaido, fattoria di Saeki: arrivano molti avventori, camminatori professionisti e non che percorrono il “Kiraway”, il percorso ideato da Saeki della lunghezza totale di 71.4km di cui io ne ho percorsi una decina.
Uno degli impavidi che ha terminato tutti i 71.4km (in 2 giorni!) è Naoyuki, che per la notte si ferma nella fattoria.
Scambiamo due parole e capiamo che entrambi abbiamo come obiettivo Tokyo, dove Naoyuki lavora già e studia presso il college, così decidiamo di tenerci in contatto.
Arrivato a Tokyo ecco che con la puntualità giapponese arriva anche il suo messaggio di benvenuto, con “allegato” l’invito a fare un giro attorno al Fuji con lui in auto.
E così, domenica scorsa ci siamo trovati alla stazione di Noborito, Tokyo ovest, per partire alla volta della prefettura di Shizuoka e Yamanashi. Anche Jim, un mio coinquilino, si unisce alla banda.
Dopo poco meno di un centinaio di km di autostrada ecco che arriviamo al lago Kawaguchiko, dove a differenza di Tokyo la trasformazione della natura ha già preso atto, ed è fantastico vedere come gli alberi siano tinti di mille sfumature, dal verde estivo al rosso intensissimo, quasi fosforescente, dell’autunno.
Rimango davvero stupito di ciò di cui sia capace la natura qui in Giappone, i colori in foto sono naturali, le tonalità sono veramente quelle accese delle tempere, e mai avevo visto dei rossi così saturi.
Ripartiamo verso un luogo panoramico, e comincio ad avere il sospetto che Naoyuki, da buon giapponese, abbia programmato tutto nel dettaglio!
Purtroppo, come avevamo immaginato, il Monte Fuji è coperto da una coltre di nuvole che lo avvolge, sembra quasi stritolandolo, e quindi il perfetto cono di oltre 3700m non è visibile e neanche avvertibile, dato che le nubi gli arrivano praticamente ai piedi.
Ma lo spettacolo dalla parte opposta è comunque straordinario: una colata lavica alle nostre spalle ha dato luogo, centinaia o forse migliaia di anni fa, ad una valle dove è cresciuta una speciale foresta, che a chiazze si sta tingendo anch’essa di rosso e giallo.
Ogni dubbio è fugato quando Naoyuki ci annuncia che adesso andremo a visitare un villaggio tipico giapponese: è chiaro che si è studiato tutto prima di partire, e questo è gratificante, dimostra che l’ospite, come sempre, qui in Giappone è sacro e gli va riservato il migliore dei trattamenti, ma dimostra anche la puntigliosità e l’estrema accuratezza di questo popolo nel fare qualunque cosa, dal lavoro allo svago; a volte può essere un fattore negativo, perché poco lascia all’immaginazione, ma oggi sono contento perché quando passai di qui tempo addietro, a fine settembre, non vidi niente di quello di cui oggi so godendo.
Il mercato alle porte del villaggio vende alcune stranezze, tra cui calabroni sotto spirito; questi devono essere i famosi calabroni giganti giapponesi, fanno spavento per quanto sono grandi alcuni di essi!
Entriamo nel villaggio, che è chiaramente una ricostruzione, anche perché, come spiegano alcune immagini, a inizio ‘900 c’è stata una grande frana che ha portato via l’originale con una ondata di fango distruttrice.
L’aria è paciosa e verrebbe voglia di tornare indietro di qualche decina di anni per capire come si viveva veramente in questo luogo.
All’interno di questo museo all’aperto si trovano artigiani e coltivazioni tradizionali, come ad esempio quella della radice di wasabi, che come il riso ha bisogno di essere coltivato immerso nell’acqua, addirittura qui piccoli canaletti convogliano un flusso continuo di acqua entro un terreno speciale fatto di ghiaia lavica.
Il problema nella produzione del wasabi è proprio l’approvvigionamento dell’acqua, perciò sembra che prima o poi l’agricoltura sarà in difficoltà nel rispondere alla domanda di wasabi giapponese.
Si riparte, mi vengono in mente i tour guidati giapponesi, quando i turisti del sol levante vengono in Italia ed in 5 giorni si vedono 6 città, un ritmo pazzesco, ma li capisco anche, in media i giapponesi hanno 10 giorni di ferie l’anno e il tempo a disposizione va sfruttato a fondo!
Arriviamo alle cascate di Shiraito, sono famose non tanto per l’altezza o la mole d’acqua, ma per la larghezza di una delle 2 cascate.
Il panorama delle cascate è stato designato più volte da più associazioni come meritevole di salvaguardia e dal 2013 è entrato a far parte anche dei patrimoni protetti dall’Unesco insieme al parco del Fujisan.
La giornata ha il suo termine qui, e mentre ci allontaniamo, evitando di passare dal Fuji Skyline perché non avremmo potuto ammirare il panorama causa nubi, ecco che il timido Monte Fuji comincia a svelarsi nell’oscurità.
Naoyuki ha una sorpresa però, ancora non è finita: sconfiniamo nella prefettura di Yamanashi per arrivare all’Onsen più bello che abbia mai visto.
Ovviamente non si possono scattare foto all’interno, ma dal piazzale soprastante ho rubato questo scatto che forse dà l’idea del grado di relax che si può raggiungere immersi nell’acqua calda, all’ombra delle stelle, con un panorama del genere.
Dopo aver recuperato le forze grazie al bagno caldo, ci rimettiamo in marcia verso Tokyo, con una fermata all'”Autogrill” giapponese per una mangiata da re: Tonkatsu al curry, una delizia che non avevo ancora assaggiato, la ciliegina sulla torta per terminare alla grande una giornata sensazionale, grazie Naoyuki!!!