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BAM road: solo 4 opzioni per arrivare in fondo.
Ultima puntata del racconto della BAM road, affrontata dai due temerari motociclisti inglesi Peter Foulkes e Jon Brookbanks, stavolta si entra nel vivo!
A raccontare è Jon:
Ad ogni crinale ti chiedi quale ostacolo starai per affrontare, ed il mio cuore affonda ogni volta che il tracciato si divide. A questo punto una strada va sempre in alto, conducendo ad un ponte in legno marcio, o semplicemente ciò che ne rimane.L’altra strada va verso il basso, portando ad una sorta di guado.
Questo è tipico della BAM road, e senza possibilità di tornare indietro ci sono veramente solo 4 opzioni per proseguire…
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Opzione 1: Attraversare il ponte
Ci sono letteralmente centinaia di ponti da superare lungo la BAM road. Sono stati costruiti negli anni ’30 del 1900, gran parte di quelli in legno sono adesso marci, e molti collassati. Questi sono normalmente realizzati con traverse in legno della ferrovia, ma rattoppate con vecchie tavole, tronchi, rami degli alberi e persino tavoli. Alcuni sono estremamente stretti, si distendono lungo vasti e potenti freddi fiumi. La superficie di questi è un incubo per i motociclisti e spesso ci sarebbero poche possibilità di sopravvivere ad una caduta. Occasionalmente si vedono targhe coperte di fiori in memoria di qualcuno che ha perso la vita, o anche un camion caduto e giacente sul suo tetto al di sotto di una sezione precaria di ponte. Questi sono aspri promemoria dei pericoli di tale avventura, e spesso ci fanno domandare cosa stessimo facendo semplicemente “per divertimento”.
Un particolare attraversamento che nessuno di noi due dimenticherà è quello dell’estremo ponte sul Vitim. Tornato a Mosca, Tony P., membro del “Sibersky Extreme Project”, ci ha dato un primo resoconto della sua storia dell’orrore su quel ponte, ed adesso era tempo della nostra. Era solo il secondo giorno, e come siamo arrivati sul crinale della collina ricordo di aver detto “porca pu**ana”. Sapevamo entrambi che questo momento sarebbe arrivato, ma nessuno pensava che l’avremmo raggiunto così presto. Prima di partire per questo viaggio, sia io che Pete pensavamo che in fondo avremmo potuto sorpassarlo senza problemi, ma il nostro punto di vista è cambiato immediatamente quando con timore abbiamo guardato giù all’enorme massa d’acqua che si riversava sotto di noi. La lunghezza dell’attraversamento è incredibile, l’altro capo del ponte sparisce all’orizzonte. La superficie è costituita da traverse in legno della ferrovia, tenute insieme da ampie maglie metalliche. Nel mezzo c’è una grande rampa, con grezzi listelli su ogni lato. Per l’intera lunghezza il ponte è estremamente stretto senza barriere laterali. Perfino solo camminarci mette in subbuglio il mio stomaco, e guardando in basso alle acque che fluiscono a velocità spaventosa mi fa girare la testa. Pete mi ha guardato e mi ha detto “solo stare qui mi fa stare male”.
Era ovvio che percorrerlo in moto sarebbe stato meno goffo di quanto pensassimo, ma il più piccolo errore sarebbe stato fatale, così non c’era altra opzione che percorrerlo a piedi spingendo le moto. Tenere una moto a pieno carico controllandola con la frizione e camminando di lato non è un compito semplice. Certamente non aiuta avere stivali da fuoristrada. C’è sempre un alta percentuale di inciampare o rimanere intrappolati con la gamba sotto le borse posteriori. Sono andato per primo, con Pete che mi seguiva da vicino. Stava andando bene, finché non ho raggiunto la metà. Come la ruota anteriore è salita sulla rampa ho perso il momento e la moto ha cominciato a scivolare all’indietro anche con il freno tirato. Stavo gocciolando di sudore dalla punta del naso, e come al solito i miei pantaloni hanno cominciato a calare fino alle ginocchia! Fortunatamente sono stato capace di ricompormi, tirare su i pantaloni e attraversare la rampa in una dolce azione. Poi ho guardato Pete con paura mentra superava l’ostacolo. Una volta in salvo sulla sponda opposta ci siamo seduti sul bordo del ponte guardando indietro in soggezione, realizzando che il Vitim era ormai dietro di noi. Per cavalcarci una moto devi avere palle d’acciaio.
Spesso un ponte non esiste, o è collassato, o non è mai stato finito: a questo punto dobbiamo ricercare l’opzione 2, guadare il fiume.
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Opzione 2: guadare il fiume
L’acqua che scende dalle montagne è spesso gelida e scorre veloce. A volte sei faccia a faccia con un fiume così grande che è ovvio che non puoi guadarlo. Altre volte è meno chiaro, ed uno di noi deve procedere a piedi al fine di prendere una decisione. Sasso, carta, forbici questi momenti contano tanto quando hai un lungo giorno davanti. L’altezza dell’airbox è un fattore limitante, ma vedere il tuo motore sott’acqua, sentire il suo tono cambiare, e sentire la moto sballottata di lato è sempre un’esperienza scomoda.
Se non puoi guidare, o guadare il fiume, e non c’è un ponte da cui attraversare, beh allora è tempo per l’opzione 3, guidare sulla ferrovia.
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Opzione 3: Guidare sulla ferrovia
Da bambino mi veniva insegnato di non giocare vicino alle rotaie, perciò guidarci una moto sembrava fuori questione. Comunque, quando guidi sulla BAM road spesso non c’è opzione. Al 3° giorno il tracciato è scomparso, ed era chiaro che non potevamo passare questa sezione. A questo punto abbiamo fatto il nostro primo riluttante tentativo di tornare indietro e cercare la ferrovia. Sfortunatamente l’unico spazio disponibile per continuare era dalla parte opposta dei binari, e in poco tempo ci siamo trovati in una situazione di panico frenetico nel tentativo di portare le moto di là. Senza pensare troppo abbiamo posizionato la mia moto, aperto il gas e lasciato la frizione, sperando che le sospensioni assorbissero i binari in modo da sorpassarli. Questo non è successo e con la ruota anteriore nel mezzo dei binari, la posteriore rimbalzando mi ha sbalzato di sella. Alla fine, la moto a pieno carico era in mezzo alla ferrovia, bloccata. Per fortuna Pete ha mantenuto la calma ed è venuto ad aiutarmi a tirarla su, riuscendo a sorpassare i binari. Tremando dalla paura ci siamo seduti pensando quanto stupidi eravamo stati. Sapendo che questa non sarebbe stata l’ultima volta che avremmo eseguito questa manovra, abbiamo speso un po’ di tempo a sviluppare una soluzione più elegante. Nello stesso giorno abbiamo dovuto ripeterla 6 volte, e senza più acqua a disposizione. Questo era il giorno numero 3, l’inferno.
Il nostro più lungo e pericoloso attraversamento è capitato al giorno n° 5. Il ponte era oltre 200m ed alla fine c’era una curva secca dei binari, rendendo impossibile capire se stesse arrivando un treno da lontano. A distanza potevamo vedere una piccola capanna, dove due guardie ferroviarie stavano di controllo. Questi ragazzi vengono scaricati lì dal treno nel mezzo del niente, e stanno alcuni giorni in solitudine, addetti al controllo del traffico. Ci siamo fermati ed abbiamo discusso della possibilità di camminare sui binari per raggiungerli, prima. Forse potevamo parlare alle guardie e ottenere il premesso di guidare le moto sul ponte? Tentando di comunicare con una guardia che non parlasse inglese avrebbe solo ritardato le procedure, e c’era la possibilità che non acconsentisse al nostro piano. Abbiamo deciso di fare un tentativo. Abbiamo seguito la nostra classica strategia, spengere i motori, ascoltare molto attentamente, quindi attraversare il ponte uno per volta mentre ci tenevamo in contatto con l’interfono. Se ci fosse stato alcun segno di treno in arrivo, allora avremmo dovuto scendere dai binari schiacciandoci in uno dgli strettissimi vani di servizio del ponte, dove speravamo che ci fosse abbastanza spazio da evitare il treno in arrivo. Questa sezione della ferrovia ha traverse in cemento armato, fornendo così una buona superficie dove guidare la moto. Provando a non pensarci, ho acceso il motore e accelerato sul ponte, snocciolando una marcia dietro l’altra fino alla 4a una volta raggiunto il termine. Ho potuto vedere la guardia uscire dalla capanna, e con un enorme sollievo ho continuato fino alla fine dell’attraversamento e spento il motore. Ho guardato indietro e Pete non era che un puntino a molta distanza. Ho ascoltato che non arrivassero altri treni e quindi segnalato via interfono “VAI VAI VAI!”. Pete è arrivato volando sul ponte, a pochi centimetri dal bordo delle traverse. Non c’era spazio per errori, e non osavo pensare alle conseguenze di uno sbaglio.
Una volta in fondo, abbiamo guidato lentamente verso la guardia, e tentato di raccontare in modo calmo, come se quello che avevamo appena fatto fosse stato del tutto normale. Essendo praticamente nel mezzo del nulla, solo dio sa cosa questo abbia pensato quando ha visto 2 moto apparire. Appariva stordito, ed ha cominciato a inveire qualcosa in russo. Lo abbiamo addolcito con 500 rubli stringendogli la mano, a questo punto ha sorriso, ci ha chiamato pazzi, ed incredibilmente ci ha invitati a stare nella sua capanna per una tazza di the ed un po’ di zuppa calda. Eravamo grati al fatto di aver trovato questo ed essere ancora vivi alla fine. Senza idea di quante volte ancora avremmo rischiato la pelle lungo la strada per Tynda, abbiamo deciso di fermarci in anticipo…5 attraversamenti ferroviari su ponte erano abbastanza per un giorno soltanto.
In alcuni casi, perfino guidare lungo la ferrovia non è più un’alternativa possibile, a questo punto è tempo per l’opzione numero 4…trovare un’imbarcazione, o sedersi e pregare per un grosso camion.
- Opzione 4: cercare l’assistenza di una imbarcazione o di un camion
Erano le 10.30 del giorno n°2, ed avevamo già conquistato più della nostra normale quota di ostacoli, incluso il poderoso Ponte sul Vitim. Ma appena abbiamo deciso di fermarci abbiamo raggiunto un enorme fiume senza attraversamenti possibili. C’era una guardia che non permetteva l’uso della ferrovia. Ci ha spiegato che se avesse accettato di farci passare e ci fosse stato qualche problema avrebbe potuto rimetterci il lavoro. Ma sapevamo che questa era Russia, e con sufficiente ammontare di gesti on le braccia ed una mancia altrettanto grande, qualunque cosa sarebbe stata possibile. Dopo 1 ora di negoziazioni, che non sono mai facile in russo, ci siamo accordati per pagare la grande somma di 7500 rubli per l’assistenza di alcuni locali. Mentre il sole stava calando ci siamo ritrovati a caricare le moto, una per volta e senza bagagli, in un piccolo fuoribordo. Con un serbatoio pieno da 25l per ogni moto, sollevare le moto sulla prua della barca è stato difficile, e poi abbiamo dovuto tenerle in piedi durante un’attraversamento traballante.
Tuttavia l’operazione è andata a buon fine, perdendo davvero poco tempo. E’ stato un giorno di successo, quindi ci siamo fermati ed abbiamo festeggiato con una bottiglia di vodka. Non è mai una buona idea, inutile dire che il giorno dopo siamo stati puniti per questo.
Il giorno n°4 ci siamo dovuti di nuovo dovuti arrendere davanti ad un altro profondo fiume. Infreddoliti, bagnati ed esausti, ci siamo seduti sotto un cespuglio. Tuoni e fulmini, mi chiedevo quanto tempo avremmo dovuto aspettare prima che qualcuno vennisse in nostro soccorso. Questo è stato un momento particolarmente difficile. Eravamo senza aiuto ed abbiamo cominciato a pensare che fosse troppo presto (come stagione) per attraversare la BAM road. Forse i livelli dell’acqua erano ancora troppo alti? A volte non abbiamo visto camion per giorni interi, così ci siamo chiesti cosa sarebbe successo se ad un certo punto ci saremmo completamente bloccati. L’ultima cosa che avremmo voluto sarebbe stato di rovinare il viaggio per questo. Ad un certo punto, con la coda dell’occhio scorgo un camion sull’altra sponda del fiume, ed in un disperato sforzo per ottenere aiuto ho corso verso la riva del fiume e ho urlato all’autista. Il camion aveva un grande carico, ed era chiaramente inutilizzabile al nostro scopo. Comunque, con nostra grande sorpresa è venuto a darci una mano, ed entro 30 minuti un grande camion stava “navigando” nel fiume verso di noi. I ragazzi ci hanno guidato ad un grande cumulo di terra, dove insieme siamo stati in grado di trasportare le moto sul retro.
Pete ed io ci siamo seduti sostenendo le moto durante il guado. E ‘stato un momento incredibile, incredibile come il camion ci portasse senza sforzo su questo gigantesco ostacolo, e ancora una volta abbiamo vinto contro le asperità del percorso. Con le moto in sicurezza dall’altro lato i camionisti ci hanno invitato nella loro cabina e ci ha offerto una tazza di tè. Non hanno accettato neanche uno spicciolo per il loro sforzo enorme per aiutarci, così abbiamo fatto una foto e cercato di fare il nostro meglio per mostrare il nostro apprezzamento. Quei ragazzi sono duri come chiodi.
Gli esempi descritti nelle opzioni qui sopra potranno darvi una qualche idea delle sfide quotidiane che abbiamo affrontato sulla BAM, e attraverso questo incredibile viaggio ci siamo accampati ogni notte accanto alla ferrovia. La terra sembrava letteralmente tremare sotto di noi quando i grandi treni a vapore passavano rumoreggiando, e il suono lancinante delle loro trombe spesso mi ha svegliato in un sudore freddo. Una sera, con il ricordo fresco del trascinamento della moto sulla pista e sulla ferrovia, Pete ha avuto un incubo e si è lanciato fuori dalla sua tenda alle 3 del mattino, convinto che ci eravamo accampati sulla ferrovia e che eravamo sicuramente spacciati! Gli orsi erano un’altra nostra paura, la gente del posto ci aveva avvertito innumerevoli volte sugli avvistamenti nella zona. Abbiamo pensato che rimanere vicino alla ferrovia sarebbe stata la strategia più sicura. Quando possibile avremmo acceso un fuoco e mangiato a 50 metri dalle tende. Ogni fruscio di un sacchetto di plastica, o il crepitio del fuoco portavano questo pensiero alla ribalta della mia mente, rendendo difficile per me a dormire. Spesso eravamo in moto sotto pioggia torrenziale, guadando fiumi gelati, e ciò significava che la nostra marcia era costantemente bagnata, eravamo fradici alla sera. Una bella serata asciutta è garanzia di una mattina di sole. La maggior parte dei giorni ci svegliavamo al suono degli acquazzoni, sapendo così che era giunto il momento di fare i bagagli di nuovo e affondare i piedi rugosi e pieni di vesciche nuovamente dentro gli stivali bagnati. Tutto questo è stato duro, ma l’ultima goccia dopo una lunga giornata sono i milioni di zanzare che ronzano intorno. A volte ce ne erano così tante che non abbiamo potuto neanche sederci e mangiare insieme, dovevamo piantare la tenda e fiondarci dentro! Al mattino a malapena riuscivamo a parlare, così ci davamo il tempo di riprenderci un po’ prima di affrontare la ripartenza.
6 notti e 7 giorni e abbiamo finalmente completato la sezione occidentale della BAM road. Giunti a Tynda, ho attivato l’interfono per dire “Congratulazioni Pete, sei un duro bastardo”.
Mentre scrivevo questo blog ho riletto una mail che avevo ricevuto dal mio amico Chris. Aveva scritto “Godetevi la BAM road compagni, sicuramente non può essere così male?”
Beh, è stata davvero così brutta invece. Alcuni giorni erano come l’inferno, ma guardando indietro è stata la cosa migliore che io abbia mai fatto. La scarica di adrenalina e di sollievo che ogni ostacolo può portare non ha prezzo, e il senso di realizzazione per il completamento della missione rende ogni secondo valevole di essere vissuto. Imbarcarsi in una sfida difficile è come spingere se stessi al limite, e la ricompensa sta nel dimostrare ciò che si può fare. Il nostro amico Liam Page conosce questa sensazione fin troppo bene, dopo aver firmato per la “Marathon Des Sables”, una gara di 6 giorni per 151 miglia di endurance attraverso il deserto del Sahara in Marocco, la gara podistica più dura sulla terra. Buona fortuna a lui………io piuttosto preferirei cavalcare di nuovo sulla BAM!
TESTO TRADOTTO A CURA DI FRANCESCO RISTORI – ORIGINALMENTE DA WWW.TOUGHMILES.COM
Due accessori...molto capienti! Valigie MyTech.
Ore 4.50, suona la sveglia.
Quasi non mi ero addormentato ed è già l’ora di alzarsi. Non bevo mai il caffè ma stamane ne tracanno una caffettiera bollente da 3 persone, con abbondante zucchero di canna.
Fuori ancora è buio, e freddo, così il rito della vestizione ha ancora più senso: tuta, stivali e borsone Amphibious sul posteriore.
Decido di evitare l’autostrada fino a Modena, scelta azzeccata, nell’Appennino sbaglio anche strada e ne percorro una sconosciuta, divertente e dal paesaggio mutevole e verde primavera.
Poi la sofferenza di 200km in autostrada, e finalmente mi appresto a varcare i cancelli della Meroni, dove ha sede anche la MyTech, ovvero la loro divisione “moto”.
Ancora stordito dalle turbolenze e dal rumore dello scarico mi tolgo finalmente tutto l’equipaggiamento di dosso e mi rendo operativo al servizio di Alessandro, il tecnico della Meroni che si occupa dell’officina MyTech, officina tra l’altro ariosissima e molto pulita.
Parte dei telaietti sono già pronti sulla base delle misure che avevo fornito in anticipo.
Alessandro è attento e scrupoloso, dove mette le mani difficilmente sbaglia, le saldature vengono al primo colpo, i pezzi tagliati al punto giusto…rimango positivamente colpito!
Alessandro è attento e scrupoloso, dove mette le mani difficilmente sbaglia, le saldature vengono al primo colpo, i pezzi tagliati al punto giusto…rimango positivamente colpito!
Il lavoro è ottimo già a sentire i dati tecnici: telai in tondo 20×16 (ovvero 20mm di diametro esterno, 2mm di spessore), borse interamente metalliche con pareti in lastra da 20/10mm, fondo e coperchio da 15/10, ed angolari pressofusi in alluminio.
Accessoristica (ganci, maniglie, chiusure) in acciaio inox, rivetti a tenuta stagna.
Verniciatura a polvere semilucida per i telai, goffrata per le valigie, molto resistente.
Realizziamo il telaio in modo simmetrico rispetto all’asse della moto: è una goduria!! Il Super Ténéré ha sempre avuto la noia del marmittone a destra perciò era impossibile montarci dei telai simmetrici; adesso con la moto completamente ridisegnata ad hoc, e lo scarico Fresco basso e compatto è possibile montare questi nuovi telai simmetricamente.
Inutile dire che la sensazione di guida è solida e non sbilanciata rispetto al baricentro.
Dopo aver collegato i telai ad una piastra di scarico posta a battere sul retro delle pedane realizziamo anche una triangolatura di rinforzo.
Tra una spiegazione tecnica ed una dimostrazione pratica arriva il momento di sabbiare e verniciare i telai.
Per una produzione singolare non si può andare dalla ditta cui solitamente si rivolgono per sabbiare e verniciare e così andiamo da un “amico” che ha una ditta che produce pezzi per la Kapriol…azz! Una delle prime aziende al mondo per attrezzi da edilizia!
Mentre attendevamo la verniciatura siamo andati avanti con l’assemblaggio delle borse…ho visto la realizzazione del prodotto da 0 praticamente, e sono entusiasta di montare sulla moto dei gioielli simili.
Ho optato infine per montare le valigie da 47l, sulla base dell’esperienza di altri viaggiatori che avevano fatto la stessa scelta (Pinuccio&Doni, Mauro Dagna…) e confidando nel fatto che 94 litri mi dovrebbero avanzare!
Abbiamo deciso anche di montare il comodo toolcase, che va all’interno della borsa sinistra, stagno anch’esso.
Qui con Cristina, responsabile vendite MyTech, ed Alessandro, ottimo artigiano dell’Officina.
Un gran bel prodotto!
Grazie MyTech, bagaglio al sicuro dall’Italia al Giappone!
Sono su Radio Capital!!!
GUARDA L’INTERVISTA!
Si!!
Una straordinaria occasione, domani (26.03.2014) dalle 12 circa in poi sarò ospite per una breve intervista dentro il programma “Capital in the World”.
Parleremo di me, dei miei viaggi e di quello in progetto.
Clicca qui per controllare le frequenze, oppure ascolta la radio in streaming!
Devo ringraziare di cuore tutta la Reporter Live ed in particolare Francesco Dendi per avermi con successo proposto alla radio nazionale Radio Capital…GRAZIE!!
Video dell’intervista
Dalla BAM non si passa, parola di camionista russo
Riprende il racconto della BAM road, affrontata dai due temerari motociclisti inglesi Peter Foulkes e Jon Brookbanks.
A raccontare è Jon:
“BAM road non possibile”
Così un gruppo di camionisti russi ci hanno comunicato, incrociando le loro braccia ed urlando, che la BAM road sarebbe stata un’impresa impossibile, secondo loro.
Questa è spesso l’opinione dei locali, così abbiamo provato a non ascoltarli, ma intimorisce comunque, soprattutto sapendo che avremmo avuto da percorrere ancora tanti km nel buio prima di raggiungere una forma di civilizzazione qualsiasi. Erano le 3.30 del mattino quando siamo arrivati in un piccolo paese chiamato Magistrale, dopo aver impiegato 17 ore di guida no-stop. Trovare una pensione era impossibile, specialmente a questa ora, quindi abbiamo dovuto montare, con riluttanza, la tenda dietro una derelitta capanna della ferrovia, ed abbiamo dormito nelle nostre tute da moto dalle 7 alle 12. E’ stato probabilmente il tragitto più duro fino ad oggi, e difficilmente era un inizio ideale per la nostra avventura nella BAM. Eravamo esausti, il morale era sotto i piedi, ed eravamo nervosi per ciò che ci attendeva.
Finalmente a Severobaikalsk, abbiamo montato le tassellate, visitato il museo della BAM e ci siamo preparati mentalmente ad andare “into the wild”.
Con una scarsa idea di quanto fosse lungo il tragitto per Tynda, abbiamo caricato acqua e noodles, e ci siamo assicurati che i serbatoi fossero pieni. Senza sapere quando avremmo trovato il prossimo benzinaio, i nostri serbatoi “Safari” da 28l erano essenziali. Ho fatto una breve chiamata a mia mamma, Sue, per spiegare che non sarei stato raggiungibile per i prossimi 10 giorni, forse. Sembrava preoccupata, così quando mi ha detto “Ma molti motociclisti percorrono questa strada vero?” ho semplicemente annuito, meglio non dirle che ci sono alcune sezioni della BAM dove perfino un camion 8×8 avrebbe difficoltà a passare, e che c’era più possibilità che vincesse alla lotteria piuttosto che noi trovassimo altri motociclisti lungo la strada.
La Baikal-Amur Magistral, BAM, è una linea ferroviaria che attraversa la Siberia orientale; la costruzione iniziò nel 1930, facendo largo uso di forza lavoro proveniente dai gulag, compresi anche prigionieri di guerra tedeschi e giapponesi; circa 150.000 persone morirono nella sua realizzazione per la durezza del lavoro a quelle condizioni e per la fame, dove solo il 10% dei prigionieri fece ritorno a casa. Nel 1953, a seguito della morte di Stalin, tutta la costruzione della linea si interruppe e la linea fu abbandonata alla natura per più di 20 anni. Comunque, essendo una strategica alternativa alla Transiberiana, specialmente lungo le sezioni vulnerabili vicino al confine cinese, l’interesse nel completarla rimase forte. Nel 1974 il progetto fu ripreso e nel 1991 fu dichiarata terminata.
La BAM “road”, se così si può chiamare, è una pista ad una sola corsia utilizzata per accedere alla stazione durante la sua costruzione e manutenzione. La strada corre da Taishet a Severobaikalsk, procedendo fino al Pacifico a Sovetskaya Gavan. Tynda è un piccolo paese grossomodo nel mezzo di questa, che divide la strada nella metà occidentale ed in quella orientale. Ci sono piccoli villaggi lungo la strada, comunque, molti sono stati abbandonati adesso. Gli insediamenti sono tuttora utilizzati a servizio della ferrovia. E’ difficile capire come possa esistere vita in un luogo così remoto, dove l’unica via di trasporto e spostamento è la BAM. Alcuni posti che abbiamo passato consistevano in soli 1 o 2 blocchi di appartamenti, con un solo negozio che vendeva solo il necessario per la sopravvivenza. Questi posti certamente non esisterebbero senza la BAM.
La parola “strada” non può essere usata. Neanche la parola “pista” o “sentiero” è giusta. In più sezioni il percorso è impraticabile, dove i ponti sono collassati o non sono mai stati neanche finiti. In questi punti l’unico modo di continuare è di percorrere la ferrovia, che è tuttora in uso da enormi treni a vapore. Il tracciato si snoda attraverso una grande catena montuosa, e fiumi di ogni grandezza tagliano il percorso ad intervalli irregolari, a volte anche ogni 100m. La difficoltà di questi attraversamenti dipende dalla stagione, ed inevitabilmente anche il clima locale gioca un ruolo importante giorno dopo giorno. Gli inverni baltici significano avere in giugno ancora le montagne coperte di neve, e molti dei grandi fiumi sono ancora nel loro processo di decongelamento. Questo rende i paesaggi stupefacenti, ma l’alto livello delle veloci e fredde acque non aiuta nel tentativo di guadare i fiumi con una motocicletta.
Il terreno cambia costantemente. Chilometri di spessi banchi di sabbia diventano rapidamente ghiaia, seguita poi da “piscine” di fango e solchi profondi. La nostra direzione spesso diverge dalla linea ferroviaria, scalando fino a 1000m in altezza sul ripido letto di un fiume. Questi momenti sono divertenti, lottare con la moto contro rocce e sassi, mentre senti i detriti suonare contro il paracoppa. A volte sembra come di trovarsi nel mezzo di una competizione di hill climb, dove tu provi a stare a sedere, a stare in piedi, qualsiasi cosa nel tentativo di alleviare pressione e bilanciare la moto. La salita sembra non fermarsi mai, ed è incredibile che le moto e le gomme sopravvivano. E’ facile prenderci la mano, e solo dio ha voluto che non cadessimo o che le nostre moto si fossero danneggiate seriamente, non realizzo davvero come ne siamo usciti.
Generalmente il tracciato è stretto e delineato da alberi su ogni lato. Occasionalmente ci sono aperture da dove si può vedere la ferrovia, indicando che stai procedendo nella giusta direzione! Ad ogni crinale ti chiedi quale ostacolo starai per affrontare, ed il mio cuore affonda ogni volta che il tracciato si divide. A questo punto una strada va sempre in alto, conducendo ad un ponte in legno marcio, o semplicemente ciò che ne rimane.L’altra strada va verso il basso, portando ad una sorta di guado.
Questo è tipico della BAM road, e senza possibilità di tornare indietro ci sono veramente solo 4 opzioni per proseguire…
TESTO TRADOTTO A CURA DI FRANCESCO RISTORI – ORIGINALMENTE DA WWW.TOUGHMILES.COM
BAM Road: test finale per uomo e macchina
La Baikal-Amur (Magistrale Baikalo-Amurskaya, BAM) è una linea ferroviaria in Russia.
Lunga 4.324 km, si trova a circa 610-770 km a nord della parallela ferrovia Transiberiana; la BAM fu costruita come un percorso alternativo strategico alla ferrovia Trans-Siberiana, in particolare lungo i tratti vulnerabili vicino al confine con la Cina.
I costi della BAM sono stati stimati in 14 miliardi dollari, ed è stata costruita con materiali speciali e durevoli in quanto gran parte di essa è stata costruita sopra il permafrost.
A causa del terreno, del tempo, della lunghezza e del costo, il premier sovietico Leonid Brezhnev descrisse la BAM come “il progetto di costruzione del secolo“.
Questa ha origine dalla ferrovia transiberiana a Tayshet, passando per Severobaikalsk (a nord del lago Baikal), per finire poi a Sovetskaya Gavan, nel Pacifico.
La sua costruzione fu iniziata negli anni ’30 del 1900, sfruttando la manodopera dei Gulag, i lager russi, terminata poi dal lavoro di migliaia di topografi ed ingegneri solamente nel 1991.
Vicino alla ferrovia corre il tracciato stradale, realizzato come percorso di servizio per manutenzione della linea ferrata.
E’ in condizioni pessime, con ponti collassati, pericolosi attraversamenti di fiumi, numerose e profonde buche e inesorabili paludi.
La strada è percorribile solamente da veicoli ben preparati per l’off road: si può impiegare anche un mese intero per percorrere il tratto dal Baikal a Komsomolsk.
Le leggende che si narrano su questo incredibile tracciato, i passaggi mozzafiato, la scarica di adrenalina che ti dà il pensiero di esser solo e dover affrontare un guado od un ponte dissestato, questo è ciò che mi ha spinto a considerare l’itinerario della BAM road entro quello del viaggio.
Lunga 4.324 km, si trova a circa 610-770 km a nord della parallela ferrovia Transiberiana; la BAM fu costruita come un percorso alternativo strategico alla ferrovia Trans-Siberiana, in particolare lungo i tratti vulnerabili vicino al confine con la Cina.
I costi della BAM sono stati stimati in 14 miliardi dollari, ed è stata costruita con materiali speciali e durevoli in quanto gran parte di essa è stata costruita sopra il permafrost.
A causa del terreno, del tempo, della lunghezza e del costo, il premier sovietico Leonid Brezhnev descrisse la BAM come “il progetto di costruzione del secolo“.
Questa ha origine dalla ferrovia transiberiana a Tayshet, passando per Severobaikalsk (a nord del lago Baikal), per finire poi a Sovetskaya Gavan, nel Pacifico.
La sua costruzione fu iniziata negli anni ’30 del 1900, sfruttando la manodopera dei Gulag, i lager russi, terminata poi dal lavoro di migliaia di topografi ed ingegneri solamente nel 1991.
Vicino alla ferrovia corre il tracciato stradale, realizzato come percorso di servizio per manutenzione della linea ferrata.
E’ in condizioni pessime, con ponti collassati, pericolosi attraversamenti di fiumi, numerose e profonde buche e inesorabili paludi.
La strada è percorribile solamente da veicoli ben preparati per l’off road: si può impiegare anche un mese intero per percorrere il tratto dal Baikal a Komsomolsk.
Le leggende che si narrano su questo incredibile tracciato, i passaggi mozzafiato, la scarica di adrenalina che ti dà il pensiero di esser solo e dover affrontare un guado od un ponte dissestato, questo è ciò che mi ha spinto a considerare l’itinerario della BAM road entro quello del viaggio.
Ed è perciò che mi piacerebbe trasmettervi, già da ora, la curiosità verso questa parte del mondo desolata eppure così attraente e misteriosa: questo sarà possibile grazie alle parole dell’avvincente racconto postato sul sito personale di Peter Foulkes e Jon Brookbanks, due motociclisti che su DRZ-400 Suzuki hanno affrontato questa strada, da Severobaikalsk a Tynda, non senza imprevisti e difficoltà.
Così racconta Jon:
Per affrontare la BAM road non servono semplicemente abilità motociclistiche, affrontarla mette alla prova la vostra resistenza fisica e psichica. E’ impossibile descrivere quanto dura sia davvero, e una volta alla fine è troppo semplice dimenticare il dolore che ogni chilometro può portare.
La mongolia è presto un ricordo non appena ci dirigiamo a nord in Russia, da Ulaanbaatar. Con le nostre abilità offroad migliorate è tempo di prepararci e mettere a fuoco la sfida finale, la BAM road, verso Tynda. Abbiamo impiegato molte ore, giorni, persino settimane, pensando a questa avventura e cercando di dcidere se avremmo avuto il tempo, le capacità e la volontà di affrontare un tratto di terra così impegnativo e sconosciuto, prima di partire per gli U.S.A.. Ma davvero non v’era opzione, non potevamo lasciare la Russia senza dare il meglio di noi.
Il piano era di acquistare nuove gomme, olio per catena e olio motore ad Irkutsk, il capoluogo della Siberia orientale. Da lì avremmo viaggiato verso nord attraverso Kachug e Zhigalovo, prima di guidare in una strada sterrata verso Severobaikalsk, una piccola città mella punta settentrionale del lago Baikal. A questo punto vorremmo impegnarci lungo la BAM road, nel tentativo di cavalcare le nostre moto ad est verso Tynda, 1400km di pura avventura offroad, senza via d’uscita. Avremmo potuto completarla o tornare al punto d’inizio. Non c’è davvero altra via per proseguire.
Il viaggio da Irkutsk a Severobaikalsk avrebbe dovuto essere dritto e senza difficoltà, ma il tratto offroad non era come ci aspettavamo. La strada all’inizio segue il fiume Lena, con un buon fondo di ghiaia e panorami fantastici. La fortuna ci ha voltato presto le spalle, non appena dei banchi di spessa sabbia ci si sono parati davanti; da lì in poi la condizione della strada è rapidamente deteriorata. E stato un tragitto punitivo con infinite buche, circondato dalla fitta foresta e terreni paludosi.
Questo non si sposava bene col nostro piano di campeggiare sulla strada, e presto ci siamo ritrovati a spingere anche durante la notte. Le cose hanno continuato a peggiorare quando abbiamo trovato un autocarro rovesciato sulla strada a bloccare il passaggio. Abbiamo così aspettato un gruppo di camionisti russi che hanno riaperto la carreggiata, e comunicando con noi attraverso gesti, hanno incrociato le loro braccia urlando “BAM road non possibile”.
TESTO TRADOTTO A CURA DI FRANCESCO RISTORI – ORIGINALMENTE DA WWW.TOUGHMILES.COM
In moto alla Coop!
Ok. Chiunque può andare in moto alla Coop.
Ma pochi sono riusciti a portare la moto dentro passando dall’ingresso principale!
Ed è quello che è riuscito a fare il Moto Club Brilli Peri, che con l’occasione degli Internazionali d’Italia ha ottenuto di esporre per ben due settimane moto d’epoca, moto vincitrici di mondiali, foto, giornali e attrezzatura da motocross.
Il presidente, Alessandro Mugnaini, ha spinto perché portassi anche io, all’interno del loro stand, un banner con il mio progetto di viaggio 2014: potevo dirgli di no?
Ebbene, fino al 15 febbraio sarò presente in questo spazio con un po’ di materiale a riguardo, perciò ringrazio infinitamente tutto il Moto Club per l’occasione offerta!
Oltre all’esposizione abbiamo avuto anche una bella giornata di sport, dove i bambini potevano sedersi su una vera moto tassellata e muovere i loro primi metri su ruote artigliate: nonostante la pioggia tanti sono stati i temerari ad affrontare il piccolo percorso allestito nel parcheggio esterno, oltre 70!
Un bell’applauso al Brilli Peri!
Vi aspetto agli internazionali d’Italia di Motocross, il 16 febbraio a Montevarchi!
Dieci suggerimenti per un viaggio
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1. Importante non è la destinazione, ma il viaggio. Non scordarti di guardare intorno ed apprezzare cosa stai passando mentre stai andando verso il tuo obiettivo finale. A volte ciò che non vediamo perché andiamo di fretta potrebbe essere meglio di ciò che ci aspettava alla fine.
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2. In molti viaggi, conoscerai casualmente alcune persone molto interessanti. In uno di questi, ho conosciuto alcune persone che sono diventate una sorta di seconda famiglia. E tutto questo è cominciato con un semplice “Hello” una volta sceso di moto in un’area di servizio. Prendi un po’ di tempo per mostrarti gentile con un’altra persona, o per chiacchierare con un’anima curiosa; il destino ti ricompenserà con un fratello o sorella per tutta la vita.
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3. Viaggia sempre con un piccolo blocco note. Potresti averne bisogno; che sia per ricordare un nome, un numero di telefono, od una città, potresti voler ricordare qualcosa anche solo poche ore dopo. Un piccolo blocco note sta anche nelle tasche della giacca. Scrivere in caso di pioggia con blocchi e penne waterproof consente di prendere le note anche in condizioni atmosferiche inclementi, senza perdere i propri appunti.
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4. Non importa quanta fretta tu abbia, documenta il viaggio. Porta una macchina fotografica, magari che faccia anche riprese video, ed usala. Tra anni e anni, vorrai avere ricordi fisici delle tue memorie. Non dimenticare di immortalare un momento, catturare qualcosa mentre vai. Appunta un post-it su un angolo del cupolino come reminder: documenta il viaggio. Apri un blog, come io ho fatto, scrivi un diario elettronico o cartaceo. La memoria si annebbia col passare del tempo, archivia ora l’avventura con immagini e parole.
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5. L’idratazione è fondamentale. Persino quando fuori si congela, il tuo corpo perde acqua preziosa. Ogni volta che ti fermi a fare benzina o a riposarti, bevi almeno qualche sorso d’acqua. Sai che il 90% dei mal di testa sono causati da disidratazione? Il Tylenol e l’Aspirina sono ottimi per il mal di testa, ma l’acqua che bevi spesso è ciò che realmente lo fa passare. Mantieni il corpo sano bevendo molta acqua. Anche nelle gare più dure, come la Dakar, i piloti si fermano a bere e…fare pipì.
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6. Anche mangiare è importante. Una delle migliori maniere per togliersi la fatica di dosso è mangiare una barretta energetica o qualcosa che contenga carboidrati, per un rapido sollievo. Frutta secca e cereali sono una botta di energia impressionante e si conservano bene.
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7. Dormi. Mai stato vicino ad addormentarti mentre guidavi in auto? Può succedere facilmente anche in moto, a me è capitato, spesso quando guidavo per lunghi tragitti senza grandi curve. Ti affatichi mentre guidi, mentre la giacca ti mantiene alla corretta temperatura, il rumore della tua moto diventa un piacevole ronzio nella tua mente. Realizzi improvvisamente che stai entrando in una curva a gomito a 90 all’ora e sbattere fuori. Se riesci a uscire dalla curva indenne, è tempo di scendere dalla moto e riposarsi, prendere aria e rigenerarsi con una breve dormita. Alcuni studi dimostrano come persino 15 minuti di sonno possano fornire una spinta energetica del 170% dopo 7 ore di attività continuativa. C’è una ragione per cui alcune aziende danno una breve pausa entro le ore del turno lavorativo degli operai.
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8. Porta il corretto equipaggiamento. Sia che tu stia guidando per un lungo viaggio o per poche ore, trova il giusto equipaggiamento per essere in sicurezza ed in condizioni di confort. L’equipaggiamento tecnico è costoso, ma dura un sacco e permette di risparmiare spazio e peso in un viaggio in moto. Trova una giacca, pantaloni, stivali, guanti e casco che forniscono la corretta protezione da urti ed eventi atmosferici.
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9. Se il tuo corpo e spirito sono disposti, esci fuori e campeggia. Una delle migliori cose che ho scoperto viaggiando in motocicletta è la facilità di campeggiare all’aperto nella natura. Porta repellente per zanzare ed antistaminico se ne soffri. Ci sono tonnellate di kit da campeggio e puoi facilmente caricarli su una moto. Una tenda decente, materassino e sacco a pelo possono fornirti anni di divertimento, ed anche se all’inizio l’investimento può sembrarti alto, questo si ammorterà evitando di stare sempre in hotel. Alla fine avrete più soldi per viaggiare.
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10. Memento: l’importante è il viaggio. Ovunque, milioni di persone stanno lavorando, dormendo, o combattendo coi propri figli perché non stanno facendo i loro compiti. Fai tanti respiri profondi, annusa l’aria fresca della natura, ed ascolta cosa il vento ti sta dicendo e come si fonde con la tua anima mentre viaggi.
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11. Consiglio bonus – Prendi la strada meno trafficata. Quando tutti vanno a sinistra, vai a destra. Trova cosa il mondo ti offre, dopo quella curva dove nessun’altro svolta.
Avete altri consigli?
Traduzione articolo: Francesco Ristori
Originalmente postato da Mastery (utente di advrider.com).
GPS: tu parti con, o senza?
“Facile: senza!!
(Perché io sono un viaggiatore vero, con le palle, so navigare con le stelle e con il vento)”
Certo, questo è ciò che ci piace immaginare, o ciò che vendiamo come vero ai nostri interlocutori, in realtà le cose stanno un po’ diversamente.
Nell’estate 2012, quando mi trovai a partire per Firenze-Nordkapp, ruppi la corda del contakm 2 giorni prima dello start, così fui costretto, principalmente per controllare la velocità, a munirmi di GPS.
Una scelta che mi cambiò il viaggio, ma non necessariamente in peggio.
Secondo me questo strumento ha grandi, enormi potenzialità se saputo usare, ed è importante saperci mettere le mani in certe situazioni; allo stesso modo, condiziona il nostro modo di viaggiare togliendo un po’ di interesse.
PRO
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Utilissimo per perdere poco tempo nelle grandi città
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Immancabile per trovare al volo un indirizzo preciso
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“Simpatico” per registrare statistiche di tappa
CONTRO
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E’ elettronico, ed in quanto tale, se si rompe son ca**i
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Dà assuefazione
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Disabitua alla navigazione “reale”
Devo riconoscere che in effetti, entrare e soprattutto uscire dalle grandi città, senza GPS, è un bel casino, il GPS sa sempre dove siamo e dove vogliamo andare.
Per me che poi dovevo trovare al volo alcuni indirizzi specifici, quali quelli di amici e/o couchsurfers in mia attesa, ho trovato un amico in questo apparecchio, che, fatta eccezione per alcuni casi ambigui, mi ha sempre portato a destinazione.
Sfortunatamente non ho mai capito bene come usarlo, avendo avuto solo 2 giorni per abituarmi all’idea di dover partire con quello, e quindi non ho mai registrato alcuna tappa, ma ammetto che avere tutte le statistiche e poter scaricare il percorso sul pc per dedurne ogni dato sarebbe stato più che interessante!
Purtroppo, essendo un apparecchio elettronico, è soggetto a rotture fragili ed anche di software, non solo fisiche, che difficilmente sono riparabili, specie in paesi stranieri e magari non del tutto avanzati come quelli europei.
E questo può rappresentare un grave problema, essendo noi abituati alla navigazione assistita siamo colti alla sprovvista da una rottura, che ci manda così nel pallone.
La navigazione “reale” ci sembra così astrusa che inizialmente perdiamo la testa, assuefarsi all’uso del GPS è perciò pericoloso, se si vuole.
Allo stesso modo, non si impara mai la strada percorsa: facendoci dirottare verso sconosciute mete seguendo itinerari perfettamente studiati da una mente elettronica, non mettiamo in moto la mente umana, e così un cartello stradale è uguale al seguente, un albero sul ciglio della strada non fa differenza per noi, una casa, una curva particolare non rimarranno mai impressi nella nostra memoria come chiari e solidi punti di riferimento.
Immaginate di ripercorrere la stessa strada, prima col GPS, e poi senza: vi troverete arresi, non ricorderete addirittura di averla mai percorsa. Vero?
In ogni caso
E’ comunque raccomandabile avere un navigatore a portata di mano, anche solo per tirarlo fuori nelle emergenze o nelle situazioni difficili sopra descritte.
E’ bello perdersi, ma è altrettanto bello decidere di poter tornare sulla giusta strada senza troppo affannarsi.
Non ovunque si possono chiedere indicazioni, non ovunque si ha il tempo di farlo.
A lasciarlo a casa, siete sempre a tempo; se però non lo avete non so quanto possa valere la pena impegnare sui 100-150€ per averne uno, questo dipende solo dalla consapevolezza dei vostri mezzi, se averlo vi fa sentire più sicuri, è certamente un buon acquisto.
Ma cautela…non bisogna abituarvisi…è come la droga!!
Però non è neanche da demonizzare, come fanno molti che si credono Cristoforo Colombo su due ruote.
Per quanto mi riguarda, a giugno prossimo partirò probabilmente senza GPS, non avendo neanche la possibilità di caricarvi mappe Asia, mi piacerebbe però avere un “transponder” per registrare la traccia dell’itinerario percorso, quello posso farlo anche con lo smartphone volendo, agganciando solo il satellite senza fare uso di reti dati.
Magari mi doterò di qualche mappa, e mi armerò di pazienza chiedendo ai locali…stavolta il tempo non sarà un problema.
Regalo di Natale: Mirrorless-izzato!
Ebbene si: ho fatto la cazzata!
Dopo averle snobbate fino a ieri, ecco che mi ritrovo tra le mani una mirrorless…incredibile eh?
Partiamo dai presupposti, la reflex (Canon EOS 550D) pur essendo “compatta” nel suo genere era troppo ingombrante e pesante per l’utilizzo in viaggio, da sola occupa l’intera borsa da serbatoio e questo non va bene!
La mirrorless è grande quanto una compatta, con una lente zoom piuttosto corta davanti, pur mantenendo il sensore APS-C; non avendo lo specchio davanti al sensore, ed il pentaprisma sopra al corpo macchina, le dimensioni si possono ridurre notevolmente.
Ci sono tanti pro e contro per questi sistemi, ovviamente ognuno ha una propria visione ed i vantaggi/svantaggi dipendono dalle proprie personali esigenze, questo è il mio pensiero:
PRO
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Portabilità
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Qualità “reflex”
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Impatto con il pubblico fotografato più discreto
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Prezzo, costano generalmente meno delle reflex
CONTRO
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AF generalmente più lento, specie con sogg. in movimento
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Lenti disponibili
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Comandi meccanici/ghiere in minor quantità
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Durata delle batterie più breve
Lo schermo ruotabile è molto comodo, si può ruotare fino a 45° verso il basso e 180° in avanti, per autoritratti è ottimo, inoltre ha una buona risoluzione; è touchscreen, ed esiste una funzione “otturatore tattile” per cui premendo sullo schermo si scatta mettendo a fuoco il punto desiderato.
La macchina ha anche il wi-fi, ed attraverso uno smartphone si può remotare lo scatto, acquisirlo immediatamente oppure editarlo, o caricarlo direttamente anche su facebook: le capacità multimediali sono molto buone.
Vorrei farvi notare la compattezza, sta nel palmo di una mano senza affaticarla troppo.
Si nota anche l’assenza dello specchio una volta tolte le lenti, il sensore è a vista, perciò si dovrà anche fare più attenzione quando si cambiano le lenti; per lo stesso motivo però sarà anche più semplice da pulire, con soffietto apposito.
Le lenti sono l’e-mount sony, ne esistono poco più di 20 in totale per questo sistema, a prezzi anche abbordabili, l’accoppiata perfetta secondo me è lo zoom base più un pancake tipo il 20mm o il sigma 30mm; altrimenti anche lo zoom base è discreto; comprarne diverse farebbe perdere il senso alla mirrorless, la compattezza cercata si annullerebbe.
Questa macchinetta ha diverse funzionalità “ganze” integrate, una di queste è l’HDR in macchina: praticamente la macchina scatta 3 volte, il primo scatto avrà esposizione intermedia, poi sottoesposta e infine sovraesposta, per poi fondere le immagini in un High Dynamic Range image, ovvero in soldoni una foto in cui le alte luci sono catturate meno brillanti, e viceversa per le basse luci, ottenendo così un’esposizione ottimale su tutta la gamma; devo dire che funziona piuttosto bene, non produce troppi artefatti o scie a patto che non si scenda troppo coi tempi.
Sotto, in una scena con poca luce, l’HDR dà maggior luce alle zone in ombra, con scatto originale a SX, HDR a DX.
Un’altra funzione eccezionale è quella che permette la riduzione del rumore attraverso l’interpolazione di più scatti, 6 per la precisione: è incredibile, osservate i risultati, entrambe le foto hanno stessi dati di scatto, per una sensibilità di 6400 ISO, ma uno ha molto più dettaglio, che si nota perfettamente nel crop sottostante, riuscite ad indovinare quale dei due è il multiscatto con riduzione rumore?
Direi che al momento mi sto divertendo un sacco, facendo alcuni raffronti con la “vecchia” Canon 550D mi sembra addirittura di percepire un miglioramento, seppur minimo, nella nitidezza.
Qui di seguito alcuni esempi di scatto.
Scatto originale
Scatto DRO, 1 scatto ottimizzato
Scatto HDR, 3 scatti “fusi” in macchina
Scatto originale
Scatto HDR
18mm f3.5
Crop
55mm f5.6
Crop
Che dire, le immagini parlano da sole, la qualità non ha nulla da invidiare ad una reflex pesante ed ingombrante, per foto di strada o reportage è molto più indicata secondo me, l’autofocus è anche abbastanza veloce da consentire scatti al volo.
Magari più in là testerò meglio anche le potenzialità video, per ora promette bene!
Buona luce!
Viaggiatore VS Turista. E tu chi sei?
La perenne diatriba di chi, per i più svariati motivi, si trova a gironzolare da qualche parte nel mondo.
Siamo tutti Viaggiatori, ovvio!
E ovviamente ognuno si sentirà di vestire i panni del viaggiatore, figuriamoci se si può essere semplici e superficiali turisti!
Ma partiamo dalla definizione che ne danno i dizionari:
TURISTA
Chi viaggia per istruzione o per diletto.
VIAGGIATORE
Chi fa viaggi a scopo di esplorazione, di studio, di ricerca.
Si evince che il Turista sia un tipo più spensierato (o sta solo scappando brevemente dal tran-tran quotidiano?), mentre il Viaggiatore sia una persona più ponderata (oppure vagabonda?).
A ognuno di noi piace sentirsi esploratori, ci scopriamo Marco Polo se andiamo in Cina (in aereo) o Magellano se attraversiamo uno stretto oceanico (in nave da crociera).
La verità?
La verità è che non c’è un confine netto tra Viaggiatore e Turista, ammettiamolo, perfino al più incallito “vagabondo” ogni tanto piace inforcare occhiali scuri, infradito e bermuda, per immedesimarsi nella figura del “villeggiante”.
Io stesso credo che ci debba essere una misura nelle cose, affiancando i due ruoli nelle percentuali che più ci confanno: è un po’ come intramezzare periodi di routine e lavoro a periodi di viaggio, è noiosa la routine, ma alla lunga stanca anche viaggiare, si perde motivazione.
Così ogni tanto si può aver bisogno di fare il Turista, con meno pensieri, più comodità e relax.
Gli estremismi
C’è poi chi punta a qualche tipo di record, come ad esempio record chilometrici e temporali.
Ma colui che fa questo non è un Viaggiatore, e neanche un Turista, per me rientra nella categoria degli Atleti: ovvero, coloro che in seguito ad una preparazione fisica e psichica adeguata, percorrono grandissime distanze a tempo di record; gli appellativi di Viaggiatore o Turista non gli si addicono, perché viene meno quel minimo di “ambientazione temporale” necessaria a chi viaggia.
Infine, c’è chi lo fa per vantare semplicemente statistiche esagerate, accumulate durante gli anni, che hanno poco senso in fondo: trovo nelle statistiche alcuni dati spesso interessanti, ma dati da inserire tra le note, non nel titolo del viaggio; non si vince niente, i “titoli” non sono mondiali, ma semplicemente personali, ricordatevi che l’Albo d’Oro dei viaggiatori non esiste!
L’esploratore moderno
Per terminare, oramai si può dire che l’era dei grandi esploratori sia bella che terminata, e noi non siamo altro che emulatori delle eroiche imprese compiute da persone straordinarie in nome della scienza e della conoscenza.
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Che senso ha quindi mettersi a rischio per esplorare terre lontane ma conosciute ai più? C’è il rischio di raccontare una storia non più esaltante (se non, a volte, ridicola) come poteva esserlo anni fa?
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E che senso ha visitare un paese lontano rimanendo nella nostra “bolla” immacolata di turista? C’è il rischio di sentirsi mancare qualcosa di più “vero” e meno “occidentale”?
Sono sicuro che da entrambe le parti ci siano risposte esaustive e giustificative di entrambi i ruoli.