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Nihon!!!
E’ la mia ultima notte a Sakhalin.
E l’ultima in Russia.
Domani sarò in Giappone, ancora non riesco a crederci e non ci penso neppure.
E’ il compleanno di Victoria, la mia host (è già il secondo compleanno durante il mio viaggio, incredibile!), e decido che per l’ultima notte a Yuzhno-Sakhalinsk posso fare un’eccezione e festeggiare con i suoi amici fino a tardi.
Ci troviamo a Zima, un’area attrezzata, per un barbecue e dolce di compleanno.
Nessuno in realtà è originario di Sakhalin, eccetto un ragazzo, qui i giovani arrivano allettati dalle proposte di lavoro ben pagate, addirittura 4 volte di più che nella Russia europea, a volte.
Il party si prolunga di molto, andiamo in centro e ci scateniamo in un club fino alle 4 di notte, l’ambiente è piacevole ed io sono gasato mentre penso alla nave il giorno dopo.
Le ore di sonno purtroppo si riducono a 2, alle 6 è già ora di svegliarsi e così chiamo Anton, il mio salvatore qui a Yuzhni, per andare a riprendere la moto in un parcheggio custodito…i bikers russi sono i migliori mai incontrati, fanno di tutto per farti stare al top, te e la tua moto!!!
Arrivo in ritardo all’imbarco, come al solito, ma altrimenti come potrei farmi riconoscere come italiani?
Il mio piano di riempire il serbatoio con l’ultima 80 ottani svanisce così, e pure quello di fare la spesa per vedere di finire i rubli rimastimi; niente da fare, lascio terra con ancora circa 1500 rubli.
Entro nella nave della Heartland Ferry, ormai la Russia è già dietro le spalle, e…la prima cosa che dobbiamo fare è lavare le moto!!
Un’altra volta?! “L’ho già lavata ieri…” tento di spiegare “Meglio lavarla ancora” mi risponde un ufficiale di bordo…”OK!”
Non contenti, hanno provveduto loro stessi a terminare il lavaggio…giapponesi, il popolo più pulito del mondo!Prima di salire c’era una terza moto con noi ad aspettare alla dogana, un’Africa Twin targata Giappone, wow, ottima occasione per fare amicizia: anche lui si chiama Watanabe, e sta tornando ad Osaka dopo un paio di settimane spese in Russia.
Ci affidiamo a lui per un sacco di consigli, e come da norma comportamentale giapponese, lui ci aiuta in ogni passo e fino alla fine.
Nella nave c’è il tatami e non si può camminarvi, ovviamente, con gli stivali. Tutto è perfetto, pulito, in ordine, la nave non ha un filo di ruggine. Mi sento già in Giappone.
Un ultimo sguardo a Sakhalin. Senza rimpianti,orgoglioso del mio “cammino” russo.
Si mangia! Cosa poteva esserci se non un bel “bento” (set di cibo servito in vassoio) con tanto di pane soffice, formaggio cremoso, hamburger, wurstel di pesce, marmellata e burro con dessert di budino e “appuru juusu”, ovvero apple juice, succo di mela.Le ore passano in fretta, solo 5 ore e mezzo di traversata.
Arriveremo alle 16 ora russa, 14 ora giapponese. Si, si torna indietro di 2 ore, molto strano!
Mi preparo psicologicamente all’impatto: sono tre anni che sogno questa terra, ed adesso che sono a pochi chilometri dal poggiare il primo passo, dal percorrere i primi metri sulle due ruote che videro la luce proprio in Giappone 24 anni fa, è impossibile realizzare che davvero ce l’ho fatta.
77 giorni di viaggio, da Montevarchi al Giappone, veramente l’ho fatto? Sto solo, ancora sognando?
Rare sono le occasioni in cui piango. Non mi piace esteriorizzare la mia emotività.
Cerco di nascondermi dagli sguardi.
Sento qualche goccia che mi segna il viso, bagnandolo.
Si, ce l’ho fatta, sono in Giappone.
E’ impossibile fermarsi un attimo per realizzare che la grande scommessa fatta con me stesso 3 anni fa è stata appena vinta: gli ufficiali della dogana mi richiamano subito al mondo reale, si comincia con i controlli, e ci spostiamo in una saletta che sa di ospedale.
Pochi minuti e tutto è pronto.
Importazione della moto: 22.000Yen (circa 170€) nella quale è compresa l’assicurazione di base per il motociclo (6875Yen) valida per 6 mesi.
Il trasporto della moto, dovuto alle autorità giapponesi, è di “soli” 9.000Yen (65€) piuttosto dei 25.000 prospettatici in terra russa.
Nihon!
La polizia doganale è simpatica ed accomodante, tre persone indaffaratissime con i controlli ma che non si negano una foto con noi al termine delle operazioni. Augurandoci buon viaggio! Ioi tabi o!
Watanabe-san ci accompagna quindi per qualche km introducendoci alla nazione giapponese.
Prima facciamo un salto alla SoftBank, compagnia telefonica giapponese, ma acquistare una simcard è impossibile, se non acquistandola in pacchetto con un telefonino.
Il costo totale per telefono, simcard, 2 mesi di traffico con comprese email, per non oltre 55 minuti a 9Yen al minuto, è di circa 85€. Non molto conveniente, ci penso.
Facciamo qualche km e poi ci separiamo. Watanabe-san ci saluta scusandosi per non averci potuto aiutare al 100%, e ringraziandoci…wow, solo in Giappone può succedere!I primi km qui trascorrono in un’atmosfera di euforia generale, ogni cosa per me è “nuova” e così diversa che non posso fare a meno di ruotare l’Arai da destra a sinistra in continuazione, osservando le cose come un bambino che vede il mondo per la prima volta.
Inoltre qua si guida a sinistra, mi avevano avvertito che non sarebbe stato semplice, ed invece ci metto un attimo ad abituarmi, notando che addirittura in questo modo è più semplice mantenere alta la concentrazione, data la novità.
Ci fermiamo al Seicomart, minimarket dove facciamo la nostra prima spesa giapponese; Hartmut ha deciso di seguirmi ancora per un po’ verso l’Hokkaido orientale.
Il minimarket è “ganzissimo” e dentro tutto è in ordine, confezionato perfettamente, con porzioni minuscole ma presentate in modo assolutamente perfetto. Sono al settimo cielo, impazzisco per queste novità!
All’ingresso di nuovi clienti la cantilena del benvenuto e del ringraziamento all’ingresso da parte delle commesse è come una canzone registrata, un disco rotto.
I miei primi 394Yen se ne vanno con l’acquisto di un piccolo presente per Saeki-san, che mi ospiterà all’indomani nella sua fattoria a Nakashibetsu.
Acquisto una confezione di cioccolatini, all’apparenza deliziosi (i giapponesi sono maestri nell’arte della presentazione) ed una confezione di the verde (ocha) in foglie. Spero di non fare una brutta figura.
Si fa tardi, e senza che ce ne possiamo rendere conto il sole è già dietro l’orizzonte: le due ore di luce che abbiamo guadagnato la mattina le abbiamo perse la sera e così alle 18 il sole è già giù. Diamine, dobbiamo sbrigarci a trovare un riparo: Watanabe-san ci aveva consigliato un campeggio gratuito vicino Esashi, ma mancano ancora 20km all’arrivo.
Siamo fortunati però, perché scorgo dei camper in postazione in un’area di parcheggio, decido di dare un’occhiata: wow, fantastico, l’erba è tagliata e soffice che pare un campo da golf, nessuna cartaccia in terra, panorama rilassante, atmosfera sicura, come ovunque qua in Giappone…lascio sempre le chiavi nel quadro, e nessuno osa avvicinarsi alla moto, fantastico.
Sistemata la tenda tiriamo fuori le nostre vettovaglie e ci apprestiamo a mangiare, anzi Hartmut ha già cominciato a mangiare, ha sempre una gran fretta!
Io mi intrattengo qualche minuto con dei giapponesi che curiosamente mi si erano avvicinati, e dopo qualche parola ci invitano al “ristorante”…il tavolo è già apparecchiato, ed in men che non si dica ci servono il primo piatto caldo, fatto di verdure con formaggio fuso e wurstel: non ci credo!
I giapponesi solitamente non sono espansivi, ma questi signori di Tokyo ci mettono a disposizione tanti manicaretti, con anche una bella spaghettata alla bolognese, salmone essiccato pescato da loro, osembe, e sakè, tanto sakè che li fa ridere come matti insieme a noi!
Sono le 21.
Buio pesto, fatico a crederlo, ma già da un’oretta è impossibile vedere qualcosa qua intorno.
Decido di andare a letto, la giornata è stata lunga ed è come se fossero già le 23.
Ore 5 del mattino. Il sole è già sorto.
Decido di resistere, ma non riesco a stare dentro la tenda oltre le 7.30, è già un caldo insopportabile, come fossero quasi le 10, e questo mi ricorda di nuovo le due ore di fuso “artificiale”.
Colazione con pane e sgushonka, il latte condensato russo, terribilmente delizioso per pensare che è la mia ultima confezione e che probabilmente in Giappone non lo ritroverò (almeno non a meno di 1€ a confezione!).
I nostri amici giapponesi sono già al lavoro, a seccare il pesce pescato in speciali reti.
Oggi non è una buona giornata, capiscono che non sarà redditizia in termini di pesca e così decidono di riposare.
Oltre al pesce, i nostri amici hanno anche un altro prezioso raccolto dal mare: l’alga Kombu, che stanno essiccando. Si usa principalmente per zuppe.
Nihon!
Ogni volta rimango sbalordito dal livello di infrastrutturazione percepito in Giappone: tutto va per linee aeree, e così la strada ha un groviglio di cavi sopra di sé.
Ci fermiamo per fare benzina: molti distributori sono imbellettati da lucine e lucette, cartelli di dimensioni gigantesche, coloratissimi e con caratteri abnormi per attirare l’attenzione…guardate questo distributore ad esempio!
L’unica nota negativa è che la benzina è piuttosto cara, dopo la Russia, a circa 1.20€ di media; le mie informazioni la davano a 1.10€ ma probabilmente è aumentata o più probabilmente qui ad Hokkaido è più cara.
Hokkaido è l’isola più bella da percorrere in moto, così mi avevano detto, ed infatti oggi vediamo un sacco di motociclisti per strada, almeno la metà dei quali chopperisti, ma sui passi si trovano, come sempre, le sportive, tra cui una Panigale R!
Da qui si ha un’ottima visuale sul lago, dopo qualche decina di scalini si può fermarsi e godere della vista per qualche minuto.
Mancano oramai 60km all’arrivo, un’ora circa e saremo da Saeki-san.
Ogni tunnel non completamente interrato ha un intelligente sistema di illuminazione, formato da lastre semitrasparenti, probabilmente in plexiglas, sul dorso dello stesso.
Le indicazioni di Erii, vicepresidentessa Lailac, sono state utili ed il dettaglio ci ha permesso di arrivare senza problemi a destinazione.
Ci accolgono Kan-san e Kiko-san. Kan parla inglese abbastanza bene, Kiko parla un ottimo british english.
Poco dopo si fa vivo Saeki-san, arrivando sportivamente su un Honda 90cc che una volta era in dotazione alle poste giapponesi.
Ci sistemiamo e la sera ci sarà un barbecue giapponese…wow!
La fattoria è specializzata nella produzione di latte, come molte qui ad Hokkaido. Ogni volta che mi avvicino le mucche mi guardano sospettosamente.
Che abbiano capito anche loro che sono gaijin??
Gaijin è il termine che i giapponesi per definire uno straniero, abbreviazione di gaikokujin; fino a qualche anno fa la versione breve gaijin era usata a titolo dispregiativo, adesso la differenza non è sostanziale.
Siamo sistemati in una ex-stalla adibita adesso a laboratorio/guesthouse.
Neanche qui è ammesso l’uso di scarpe.
All’ora di cena si aggiungono Yukari-san, Yuichi-kun e la figlia di Saeki-san, Satoe.
Il barbecue è a base di carne di agnello, soba (una specie di spaghetti giapponesi), toufu con kimchi, e verdure.
Una goduria per il palato.
La tecnologia non manca mai in Giappone, neanche in una fattoria, e così mi esalto scoprendo strani macchinari: questo serve per scaldare l’acqua a 98°C, ottimo per preparare ocha (the).
Vogliamo parlare poi del WC giapponese?
E come non parlarne! Fantastico: appena ti siedi schizzi per aria…qualcosa non va..la ciambella è calda!
Forte! Così d’inverno non devi aver paura di metterti a sedere su una lastra di ghiaccio!
E poi c’è un pannello a parete con ben 16 bottoni…sono 2 giorni che lo uso, ed ancora non ho capito a cosa servano, neppure la metà di questi bottoni!
Per colazione Saeki-san ci offre del latte fresco: è già pastorizzato, ma molto saporito!!
Subito dopo colazione ci mostra varie stanze adibite a museo, di cui va particolarmente fiero. Alcune opere sono le sue.
Dopo una breve sessione di ginnastica mattutina col gruppo di giapponesi anglofoni, veniamo portati a circa 10km dalla fattoria, da cui comincia uno dei famosi “trails” esplorati da Saeki-san, che adesso fanno parte, con ricca documentazione, di un percorso che si snoda attraverso molti checkpoint, per oltre 70km di camminata.
Salutiamo i nostri amici e partiamo, in due ore e mezzo dovremmo farcela, il paesaggio è magnifico e non ci sarà da annoiarsi.
Il sottobosco è stranissimo, mai vista una cosa del genere, sembra quasi una foresta tropicale.
Diversi torrenti segnano il percorso.
Queste campane, ci hanno detto, servono per avvertire gli orsi della nostra presenza, e sembra che nei dintorni ce ne siano diversi.
In ogni modo, la passeggiata termina senza alcun inconveniente, e dopo aver assaporato con gli occhi bei paesaggi di un Giappone che non ti aspetti, siamo di nuovo alla fattoria di Saeki-san.
Salutiamo Kiko e Yukari, che tornano a Tokyo in serata.
Il tramonto è segnato da un po’ di umidità.
Cena frugale con una delle buste di liofilizzati che ancora ho con me dall’Italia: è la volta della zuppa di farro e fagioli, ottima!
Mentre ceniamo Saeki-san si fa vivo e ci fa capire che andremo in un Onsen alle 20.15: wow!
Sono solo 3 giorni che sono in Giappone e la mia esperienza è già così ricca, sono emozionato!
Il posto è molto elegante e curato, come tutto qua in Giappone, mi aspetto un salasso per l’ingresso, ed invece sono solo 600Yen, praticamente 4€, una sciocchezza per delle terme in un luogo così caratteristico.
Saeki è comunque gentilissimo ed offre l’ingresso.
All’interno troviamo uno spogliatoio, da cui si deve uscire nudi e dotati solo del microasciugamano che forniscono all’ingresso, si entra poi in una sala chiusa totalmente rivestita in legno con diverse vasche a più temperature: si va da quella ghiacciata, da utilizzare all’uscita della sauna asciutta, a quella a 42°C, passando per l’intermedia a circa 35°C.
Su un lato troviamo docce e saponi vari per lavarsi al termine.
L’ambiente esterno ha un’atmosfera magica, avete presente quelle cose che si vedono solo nei film o nei cartoni animati giapponesi?
Il mio inizio in Giappone è stato esaltante, sono soli 3 giorni e già amo questo paese!
Do svidaniya, Rossiya!
Do svidaniya, Rossiya! (pron. Dasvida’nia Rassi’a)
Ovvero, arrivederci, Russia!
Si, arrivederci, perche’ sono sicuro сhe un giorno tornero’ a far visita a questo paese, сhe inizialmente mi aveva colpito negativamente per alcuni fatti spiacevoli, poi mi e’ entrato nel cuore attraverso la bonta’ delle persone.
Ma ripartiamo da Khabarovsk.
Mi intrattengo un giorno in piu’, perche’ alcuni russi (ubriachi!) mi hanno chiesto di rimanere con loro per fare una partita al torneo di beach tennis сhe si sarebbe tenuto in quei giorni.
Sergey e Natasha, i miei host, partecipano guadagnando il 10imo posto, io scambio qualche palla per una buona ora ricordando i bei tempi di quando ero tennista.
Il torneo si gioca lungo l’Amur, e questo e’ solo uno dei suoi bracci minori. Fa impressione.
Giunge il tempo di lasciare Khabarovsk, grande citta’ ma piuttosto tranquilla, come le altre del Far East d’altronde.
Ma non prima di aver cucinato una bella pizza…eh si, abbiamo trovato la mozzarella, e ora e’ obbligatorio prepararne una deliziosa!
Lascio la mia calda stanzetta all’interno dell’appartamento di Sergey e Natasha, con dei bei ricordi assieme a loro.
La strada per Vanino, nei primi 200km e’ molto buona, asfalto seminuovo e scorrevole.
Non si vede mai l’Amur, purtroppo, cosi’ a Lidoga decido di deviare per qualche km per andarlo a vedere per l’ultima volta. Purtroppo questo braccio del fiume e’ molto piccolo e non sortisce l’effetto che avrei sperato..sara’ per un’altra volta, ci rivedremo ne sono certo!
Proseguo, la strada e’ ancora ottima, si percepisce сhe ho abbandonato la principale, le auto scarseggiano.
I panorami non sono male, la guida e’ piacevole у trovo anche i famosi ponti in assi di legno, ma…
…purtroppo ci sono alcuni km i sterrato, davvero pessimi: mi bastano 80km di sterrato in queste condizioni, con pietre grandi ed appuntite, per rallentarmi di oltre un paio d’ore sulla tabella di marcia.
La media qui si attesta sui 25km/h.
Ho poca benzina, non posso arrivare a Vanino, ma tanto so сру c’e’ un distributore della AZS a pochi km, 70 da Vanino.
Finalmente arrivo, avro’ ancora 20km di autonomia al massimo…ma…
Il distributore non c’e’, у quando arrivo cio’ сру ту rimane sono solo i piedi dei pilastri della pensilina…deserto attorno.
Sono messo male.
Ho ancora 3-4 litri di 80 ottani da Ulan Ude, nella stagna d’emergenza. Cavolo, che fortuna!
Spero bastino…alla media dei 20km/l dovrei farne sui 60-70, a Vanino ne mancano 55 circa.
Con apprensione, arrivo in centro, e subito mi fiondo alla prima stazione di servizio, 24 litri di 80 ottani riempiono il serbatoio all’orlo, il margine era di poco piu’ di 20km, sono stato fortunato.
Qui decido di andare subito a fare il biglietto per il giorno seguente, la nave partira’ alle 12.
Arrivo al porto ma nessuno parla inglese. Mi dicono di aspettare. Cosa accadra’ ora?
Sento il borbottare di un bicilindrico..e’ un’Africa Twin: sara’ il mio angelo?
Eh si, e’ il mio angelo e si chiama Maks, fa parte dei Black Unicorns, motoclub locale, у mi aiutera’ ad espletare tutte le pratiche, impossibili da completare da soli!
Fatto il biglietto chiedo consiglio su dove alloggiare…no problem, ci pensa lui!
Vitto ed alloggio nella sede del motoclub, per la modica cifra di…0 rubli…tutto gratis per noi motociclisti!!!
Noi?
Si, noi, perche’ c’e’ assieme a me anche un tedesco su Transalp 650 сhe prendera’ lo stesso traghetto.
Motociclisti, strana meravigliosa gente.
Tra le dediche sul libro del club trovo anche questi due italiani! Incredibile!
Sveglia presto, ore 8 si parte per il centro, si espletano le ultime pratiche e poi colazione e spesa prima del traghetto.
L’attesa e’ lunga, estenuante. Faccio una breve ricognizione, il ponte per l’accesso alla nave non e’ rassicurante, pieno di binari ferrati e con assi grosse e distanziate, non sara’ semplicissimo manovrare la moto qui.
Finalmente arriva la nostra nave…in ritardo di 5 ore…che sale a 8 ore perche’ la locomotiva non ha gasolio e non puo’ tirar fuori i pochi vagoni caricati all’interno.
Nel frattempo facciamo amicizia con Watanabe san, giapponese residente a Sapporo ma сру lavora a Yuzhno/Sakhalinsk. Schietto e di poche parole. Sento comunque сhe nascera’ un’amicizia tra noi.
Intanto pranziamo, in attesa del ritardo, ed il solito gruppo di russi su di giri comincia a parlare ed a domandare da dove veniamo, dove andiamo, etc. e finiscono come sempre per offrirci qualcosa: stavolta si tratta di un buon salmone arrosto con vodka e dessert. Grandi.
Via, ci si imbarca..ore 20, piuttosto delle ore 12 previste!
Saluto la Russia continentale, e l’Eurasia, per la prima volta in vita mia, con l’ultimo tramonto su Vanino.
La cena e’ compresa sulla nave, niente di speciale, ma il mio nuovo amico Hartmut, tedesco di 61 anni di Colonia, in viaggio da 3 mesi per l’Asia centrale e la Russia, sembra gradire, e’ un tipo сhe si accontenta di poco, un viaggiatore alla vecchia maniera!
La cabina ha l’oblo’, per fortuna, e ci godiamo le ultime luci della sera prima di addormentarci su uno dei letti piu’ duri su cui abbia mai dormito.
Ore 11. Sakhalin in vista.
Nuvole e frescura in arrivo.
Arrivati al porto, la procedura e’ abbastanza veloce, siamo i primi a scendere.
Watanabe san perde le chiavi della moto…davvero atipico per un giapponese…! Un ufficiale della nave me le consegna e quando le riporto a Watanabe lui e’ contentissimo e diventa amicone. Si offre di farci strada per Sakhalin e di aiutarci a fare i biglietti per Hokkaido.
Si apre una breccia nel cielo, il celeste e’ macchiato solo da qualche candida nuvola, mentre ai lati un paesaggio selvaggio ed ancora apparentemente inesplorato apre le porte della mia fantasia.
Yuzhno-Sakhalinsk e’ un grande villaggio, non si puo’ definire una citta’, come afferma la mia host Victoria; viene da San Pietroburgo e per lei il paragone viene ancora piu’ facilmente.
Con Watanabe san arriviamo alla Bi Tomo per fare il biglietto.
Cominciano le sorprese: qui si fa solo il biglietto passeggeri (190 euro), per la moto bisogna andare a Korsakov. 40km.
Watanabe san e’ gentilissimo e ci accompagna al suo ufficio, dove la sua segretaria Inna ci offre pranzo e the verde freddo. Ottimo.
Da qui partiamo tutti insieme per Korsakov, la gentilezza non ha fine.
Facciamo il biglietto (altri 85 euro) e ci spiegano сhe dovremo cambiare gli yen prima di arrivare in Giappone perche’ la restante parte del biglietto (25.000 yen, 180 euro, e sticaaa…) si paga a Wakkanai prima di uscire dal porto.
Oltre a questo si pagheranno 160 euro (22.000 yen) per l’importazione temporanea della moto senza carnet, comprensiva di 6 mesi di assicurazione. Entro un anno dovremo uscire.
Hartmut ha il carnet de passages en douane, e paghera’ “solo” 18000 yen (130 euro). Il carnet pero’ costa 300 euro…decisamente non conveniente!
Cosi’ in totale la traversata costa 455+160 euro, circa il doppio del previsto!!
Ma per fortuna сhe c’era Watanabe san, senza di lui avremmo perso soltanto molto tempo senza arrivare a niente!
Vado a cambiare yen.
Ho solo le carte, praticamente ho finito i contanti.
Nessuna delle 3 funziona allo sportello, cosi’ devo ritirare al bancomat rubli per poi cambiarli. Il limite di prelievo e’ 7500 rubli per volta e quindi devo ritirare 3 volte per arrivare al totale di 47.000 yen, sommando 15 euro di commissioni.
Ho speso piu’ negli ultimi 3 giorni сhe nell’ultimo mese…piango!!!
I primi 60.000 yen sono in tasca al sicuro, comunque.
Beh, oramai e’ andata cosi’, mi godo un po’ Sakhalin, prima da solo, e poi in compagnia di alcuni amici, alcuni bikers ed altri amici della mia host, conosciuti qui.
E’ incredibile come le occasioni di fare amicizia siano molto piu’ alte qui nel far east, dove la concentrazione di popolazione e’ molto piu’ bassa.
Rimanete sintonizzati…
30 Agosto 2014.
Ore 14.00, fuso orario di Tokyo.
Ore 7.00, fuso orario di Roma.
Dopo quasi 20.000km, 77 giorni di viaggio, centinaia di persone e paesaggi ancora negli occhi e nella mente.
Il sogno diventa realta’.
– GIAPPONE –
Far Eastern Siberia.
Il mio tempo qui ad Ulan Ude è agli sgoccioli.
Non sarà un addio semplice, dopo aver vissuto come in famiglia per oltre 8 giorni in questo modesto appartamento di periferia.
Tuttavia preferisco non pensarci, per adesso la cosa migliore è continuare a godere dei giorni rimanenti, e così approfittiamo per fare qualche attività riposante…e golosa!
Natasha prepara un dolce che sua madre è solita preparare per le occasioni speciali, molto semplice e d’effetto.
Praticamente pan di spagna a cubetti, inzuppato nella smietana addolcita da zucchero e coperto da una cascata di cioccolato fondente fuso.
La variante introdotta da Natasha è stata una banana tagliata a dischetti.
Garantisco che era una specialità, l’ho finito praticamente da solo in 3 giorni!
Per smaltire un po’, il giorno seguente ci dirigiamo verso il tempio buddista di recente costruzione, che si trova in cima ad una collinetta non raggiungibile via bus causa lavori in corso per la strada.
Musiche dalla melodia cinese sono diffuse da altoparlanti, mentre spose buriate sfilano con le amiche tiratissime per qualche foto dal punto più panoramico di Ulan Ude.
All’interno, appena arrivati, i monaci si sistemano e cominciano a gorgheggiare, come solitamente fanno quando devono fare qualche celebrazione particolare.
In questo caso pregano per qualcosa o qualcuno, e le persone fanno la fila presso uno sportello apposito (pagando) per farsi stampare dei cedolini con le proprie preghiere da consegnare ai monaci che li leggeranno cantando e pregando; e qui svanisce anche la sacralità del buddismo, ridotta allo stremo di un negozio di preghiere.
Usciamo in silenzio mai voltando le spalle al Buddha, guai se gli si rivolge la schiena.
Purtroppo a metà ci scappa una risata, perché Natasha mi indica una foto e mi spiega che quella era una persona di Ulan Ude, morta in un incidente…la interrompo e le spiego che quello in realtà è il Dalai Lama e non riusciamo a trattenerci…che figura, tutti a guardarci storto!
Fine giornata in relax.
Mattina sveglia presto, ma non troppo, recupero della moto, sistemazione dei bagagli, con un rito lungo e quasi penoso, ultimo sguardo alla camera che mi ha accolto per così tanto, nessuna nostalgia adesso, ma sento che presto ne sentirò la mancanza.
Saluti, a Natasha ed al babbo Vladimir. Ci rivedremo?
Scendo in “paese” e non resisto: devo fermarmi nella “Lenina square” per fare almeno una foto con la più grande testa di Lenin al mondo.
Chissà se gli entra l’Arai? Secondo me no…il diametro è circa 5m!
La strada dopo Ulan Ude la conosco fino al cinquantacinquesimo chilometro, affrontata per andare a passare la nottata in tenda presso lo “sleeping lion”.
Non male, perfino meglio nei km successivi.
Sono partito tardi ed alle 17 incrocio per la seconda volta la Transiberiana, si vede davvero sporadicamente, io credevo che corresse a fianco della strada, ed invece non è così.
Faccio altri 100km, poco più, poi mi rendo conto che sono già entrato nel fuso orario di Chita, +1 ora rispetto Ulan Ude, e così decido di fermarmi appena possibile.
Trovo un Kafe, chiedo se sia possibile dormire in tenda dentro alla loro recinzione: Da!
Sono visibile dalla strada ma all’interno di un’inferriata, mi sento sicuro abbastanza da dormire.
Mentre mi appresto a montare la tenda ecco che la nuvola nera che avevo reputato non pericolosa scarica un fiume d’acqua a terra, devo trovare riparo percé il parcheggio in cemento dove avrei dormito adesso assomiglia al Baikal in versione ridotta.
Mi sistemo nell’anti-banya (la banya è la sauna russa, molto in voga qui) e spero di non essere disturbato.
Come non detto, fino ed oltre le 23.30 continua ad arrivare gente, oltretutto è pieno di insetti e ragni, decido di togliere le tende e di montare la mia in mezzo al parcheggio nella zona meno bagnata.
Il risveglio è piuttosto buono, non sento la sveglia ma mi alzo per le 8 e per le 9 sono pronto dopo un the caldo e wafer al cioccolato.
Purtroppo devo fare di nuovo i conti col torcicollo che mi perseguita da UU, sarà una lunga giornata di guida.
Mi avevano avvertito che la strada sarebbe stata brutta: ebbene, non ho mai trovato una strada migliore di quella che da Chita va a Khabarovsk.
O forse si, solo quella degli Altai era migliore, ma questa è comunque ottima!
Km #0 del lungo tratto di Transiberiana da Chita a Khabarovsk!
Chissà quanti km potrò fare oggi, mi convinco che se le condizioni del fondo sono queste sarò capace di farne almeno 500.
Mi fermo a fare benzina. Qui costa molto di più rispetto alla Russia prima del Baikal, la 80 ottani si trova difficilmente e costa quanto la 92 ottani di Novosibirsk.
Devo rifare i conti per il budget da destinarsi al carburante.
Conosco due motociclisti che non esitano a fermarsi per salutarmi, sono di S. Pietroburgo e stanno andando a Vladivostok.
Cavolo, in due su una moto, non riuscirò mai a capire come si possa fare a caricare il bagaglio e a non rischiare la vita ogni giorno per queste strade in 2!
Pausa pranzo. Mangio della carne con il pane che mi aveva comprato Vladimir, il padre di Natasha, ed una delle uova che Natasha mi aveva lessato, in questo modo durano fino a 2 settimane, a seconda del clima ovviamente.
Riparto.
Faccio pochi metri e un cartello mi desta l’attenzione. Non ci credo, ogni volta che leggo queste distanze rimango sbalordito.
Vabeh.
Dai, soli millenovecentonovantanove chilometri a Khabarovsk.
E che vuoi che sia.
La strada è dritta, l’asfalto scuro, recente, a volte si sente ancora il profumo del catrame, l’umidità lo fa salire alle narici.
Ogni tanto mi trovo a tu per tu con la moto.
Stai facendo un gran lavoro, grazie di avermi portato fin qui senza mai rogne.
Alla fine della giornata, che reputavo impossibile terminare a Mogocha, eccomi qui dopo 750km circa.
Le medie che si possono temere qui sono altissime e per strada non c’è praticamente nessuno, un vero paradiso del silenzio e della solitudine.
Mogocha è un paese piuttosto grande per la media dei villaggi (pochi) che si incontrano qui nel Far East, e vi trovo una confortevole gastinitsa per 800 rubli.
Appena scoprono che sono italiano, come sempre accade, mi cominciano a raccontare che amano Celentano, Albano, Toto Cutugno: ormai anche io conosco a memoria le loro canzoni pur non avendoli mai ascoltati!
La simpatia che suscito mi permette di mangiare pure a gratis…grazie!
La mattina l’atmosfera è da film horror: nebbia, ancora un po’ buio, sono appena le 7 e dalla finestra vedo questo.
Riparto, non molto riposato e con il collo ancora dolorante, chissà quando mi passerà, finché l’umidità relativa si attesterà ancora al 100% come già da due giorni accade, forse mai!
Il panorama è spettrale, ma suggestivo.
Mi fermo ad Amazar, uno dei villaggi più grandi della zona, dopo aver incontrato per strada alcuni motociclisti australiani che già avevo incontrato ad Ulan Ude, senza presentarmi però.
Faccio due chiacchiere con il “boss” e capisco che si tratta di un tour operator di viaggi in moto; ci scambiamo i contatti, chissà mai che un giorno l’uno non abbia bisogno dell’altro – a buon intenditor poche parole!
Amazar doveva essere la mia frugale pausa pranzo, si è invece trasformata in una regale sosta presso la casetta in legno di questo caro signore, Victor, che mi ha offerto dell’ottima carne di cavallo (ora ho provato anche quella!) corredata di insalata e le immancabili patate in padella.
E’ molto simpatico ed accomodante, ed alla fine mi regala pure della marmellata casalinga di lamponi: la adoro!!!
E’ un fan di Putin e ricorda con nostalgia l’URSS, uno alla vecchia maniera, ex militare, ed è fiero di mostrarmi alcune delle sue foto da marine, anni passati tra Kamchatka, Vietnam ed Etiopia.
Riparto.
Il silenzio del Far East mi stupisce ogni volta che mi fermo, il traffico è finalmente scarno e vedo una macchina ogni 2-3 minuti in media, che è molto, considerando che ci veniamo incontro circa ai 100km/h.
Le foreste corrono spesso lungo la strada. Betulle e abeti.
E’ tardi, ed a pochi km da Shimanovsk trovo, neanche a farlo apposta, un Kafè che sembra soddisfare i miei requisiti di sicurezza.
Chiedo come al solito se sia possibile piantare la tenda, annuiscono, ma mi suggeriscono la loro gastinitsa.
Gli faccio capire che non voglio spendere i miei “dienghi” e così accettano di farmi dormire accanto al Kafe.
Per imbonirmeli mangio da loro, shashlick di maiale con cipolle e due fette di pane non troppo fresco.
La mattina la sveglia è per le 6 in punto, quando mi sveglio la foschia aleggia attorno a me, vedo forse per la prima volta in questo viaggio l’alba.
Come si alza il sole anche la nebbia comincia a salire. Qui nel Far East il punto negativo è sempre questo, l’umidità.
Una rana sembra attendermi per essere fotografata con la calda luce del risveglio.
Riparto.
Dopo la nebbia il tempo si dice sia buono lassù, ma i km da fare sono tanti, e prima o poi dovrò pur beccare di nuovo acqua.
Così è. E’ un giorno bagnato oggi.
Giorno bagnato in cui festeggio i 70.000, approssimati, km di questo motore.
La ciclistica ne ha ormai oltre 110.000. Mitica Hyper Ténéré!
L’ultimo attraversamento della ferrovia.
Di là, a pochi km, c’è Khabarovsk. E l’Amur.
Sergei mi aspetta al primo distributore col suo SX4 arancione.
In pochi minuti siamo a casa sua, dove ceno e faccio due chiacchiere con questa famiglia russa che mi ospiterà per i prossimi giorni a Khabarovsk.
Sto bene. Alla grande. Solo un po’ stanco, la stanchezza di oltre due mesi di viaggio.
Ma c’è qualcosa che non va, qualcosa non mi torna. Ho messo tra me e Ulan Ude 2800km in soli 4 giorni, tutto è filato liscio.
Sento di aver dimenticato qualcosa lì…
From Russia with love
Wow, è già una settimana che sono ad Ulan Ude.
Città magnifica? Qualcosa di imperdibile? No…vi racconterò, ma ripartiamo da dove eravamo rimasti, UB.
Al Gana’s Guesthouse conosco tantissimi Viaggiatori di tutte le razze, tutti con la V maiuscola, e di fronte a loro devo inchinarmi per quanto sono esperti e spensierati.
Conosco un signore di Milano che ha come filosofia di vita il viaggio, ha ereditato una somma dal padre e non smetterà di viaggiare fino a che ce la farà, parole sue, tanto di cappello!
Il dormitorio, 4€ al giorno, è situato sul tetto ed è composto di tante gher, carino anche se un po’…odoroso, diciamo!
Riparto, la moto è a posto nonostante gli sterrati pessimi della Mongolia.
Mi sento un po’ solo, dopo aver affrontato 1800km in compagnia, e dopo aver vissuto la mia prima esperienza in ostello condividendo la giornata con tanti amici.
La strada non è male, ogni tanto devo prestare attenzione alle buche ma si scorre bene; mi fermo a mangiare, zuppetta di manzo con pasta fresca, energia calda che mi farà comodo.
Arrivo a Sukhbataar, forse la seconda città della Mongolia, non c’è niente da vedere, ma all’orizzonte una tempesta si avvicina e mi preparo a prendere l’acqua indossando l’antipioggia Moto One.
Un arcobaleno si fa spazio in uno strappo tra le nuvole, mi mette di buonumore.
Arrivo in frontiera, mi aspetto lunghe operazioni, code interminabili, attese strenuanti, e invece…dopo aver fatto amicizia con una guardia doganale, ed essermi sentito augurare “Buon Viaggio!” in perfetto inglese, in un’ora sono fuori!
Russia, di nuovo, e mica ci credo!
Il paesaggio muta improvvisamente, ai lati della strada scorgo boschi di abete, in Mongolia solo verso la fine ho potuto vedere qualche albero non piantato artificialmente.
La strada è bagnata, non ho un buon presentimento…spero di poter arrivare ad Ulan Ude, poi mi ricordo del cambio del fuso orario e decido di fermarmi, sarei arrivato dopo le 23, troppo tardi.
Mi fermo in un caffè dove vedo 2 bici, magari sono due viaggiatori europei.
Così è, sono 2 francesi in viaggio verso Magadan, due matti direi, perché arriveranno lassù quando farà -30!
Comunque, ci godiamo un buon borsh caldo insieme e chiediamo di dormire in un posto sicuro, ci offrono il retro del Kafe e ci accontentiamo piantando la tenda.
Purtroppo la mattina la sorpresa sarà trovare acqua su tutto il fondo della tenda, il telo verde è stata la mia maledizione.
Ci auguriamo buon viaggio e ci salutiamo sperando di rivederci da qualche parte, sapendo che questo non avverrà forse mai.
La strada per Ulan Ude è breve, solo 100km che scorrono lisci nonostante la pioggia e nonostante un problema “tecnico”: mancanza di benzina!
Sono in riserva da almeno 50km ed ho altri 30km di autonomia, forse, nessuna pompa di benzina nelle vicinanze, poi vedo un gruppo di fuoristrada che riconosco: li avevo già visti in Mongolia!
Mi offrono 1l della loro benzina per fornello, senza questa non sarei mai arrivato alla successiva stazione di servizio…il pieno è 24l, significa che dentro non ne avevo più di 1.5l.
La porta di Ulan Ude mi annuncia che sono entrato nella regione.
Qui trovo Natasha e Rinchina, che mi aspettavano a casa, e subito si rendono molto disponibili offrendomi una doccia, un pasto caldo, ed a ruota un’escursione nel centro città, dove si trova la testa di Lenin più grande del mondo: quasi 8m per 42 tonnellate!
Rinchina è Buriata, la popolazione che occupa storicamente questa parte di territorio, la Buriazia.
Le fattezze sono mongole, anche la lingua è simile, con alcuni termini ricorrenti, e la cucina pure, con base di carne, riso e ravioli; il suo modo di fare ricorda un po’ il Giappone, timida ed estremamente educata, ma forse questa non è una caratteristica comune dei Buriati.
I Buriati sono abbastanza ben integrati con i Russi, ma esistono ancora casi di razzismo.
Appena fuori dal centro si osservano le tipiche case in legno.
La giornata termina rapidamente e dopo una dormita su un bel letto la mattina mi sveglio col profumo di pancakes che Rinchina sta preparando.
Pomeriggio libero.
Contatto Marta, una ragazza svizzera in viaggio verso in Giappone anche lei in moto, adesso via treno, e decidiamo di incontrarci in città.
Ovviamente lei è in perfetto orario, io, in ritardo…!
Ci salutiamo dandoci appuntamento in Giappone come ci saremmo dati appuntamento al bar. Fantastico.
Torno a casa. Natasha ha un cugino che lavora alla fabbrica di aerei ed elicotteri di Ulan Ude, il quale è in grado di fornirci degli inviti allo spettacolo per la celebrazione dei 75 anni.
Incredibile, ho sempre guardato questi spettacoli in video su internet ed adesso i Mig sfrecciano a 100m sopra la mia testa compiendo mirabolanti acrobazie.
C’è il pieno, davvero impossibile contare quante persone ci fossero.
La sera spettacolo pirotecnico e poi a letto, non presto nonostante avessi deciso di andare al Baikal il giorno dopo.
Parto tardi, è quasi mezzogiorno, devo fare 270km circa ma sembrano ottimi, scorrevoli, paesaggio non eccezionale ma piacevole.
Mi fermo per pranzo presso un fiume, scatolette e pane come al solito.
Arrivo al Baikal, al parco nazionale della Holy Nose Peninsula, la strada negli ultimi 60km è stata pessima e qui c’è sabbia a tratti.
Non sono mai cascato in Mongolia, e qui stupidamente inciampo in un banco di sabbia e mi appoggio in terra a 10m dalla destinazione…fanc***!!!
Poco importa, mi sistemo nella spiaggia e subito mi viene dato il benvenuto da uno stormo di uccelli in postazione.
L’acqua non è molto pulita, sarà colpa della sabbia, ed è fredda, ma non come immaginavo, sarà sui 10-15°C.
Sono freddoloso e non oso avvicinarmi se non per bagnarmi i piedi.
Tutta la leggenda che sta dietro al Baikal, non riesco a percepirla: il lago più profondo del mondo, oltre 1600m, contenente 1/5 delle acque dolci del mondo, da qui non sembra così imponente e neanche il vento riesce a trasportare la sua anima, nascosta forse da troppe aspettative.
Manovrare sulla sabbia è stato durissimo e mi concedo un paio d’ore di riposo in tenda prima di preparare un buon riso ai formaggi.
Nel frattempo comincio a sfogliare pure il frasario di giapponese, e mi basta poco per capire che non sarà un’impresa semplice.
Dopo un lungo e riposante sonno sulla sabbia rimetto tutto nelle borse e riparto un po’ assonnato.
La strada all’interno del parco è carina. Sterrato, purtroppo a tratti toulée ondulée, ed abeti ai lati.
Dopo pochi km mi fermo, è già ora di pranzo.
Trovo un piacevole posticino accando a dei laghi “figli” del Baikal.
Ho ancora l’ultima scatoletta di pesce, con ribrezzo mi faccio coraggio e la finisco, dopo averle odiate per tutta la Mongolia.
La sera, dopo essere tornato, giro due-tre supermercati cercando della mozzarella; voglio ricambiare l’ospitalità di Natasha e di suo padre preparando della pizza, ma purtroppo non c’è, sembra che ad Ulan Ude non si trovi niente di simile, così decido di improvvisare una schiacciata.
Sono fortunato e mi riesce molto bene, il sapore è lo stesso di quella che preparo a casa, sono strafelice.
Loro apprezzano e il padre di Natasha addirittura afferma di non mangiare così bene da un sacco di tempo!
La notte passa rapidamente e la mattina pianifichiamo con Natasha un giro in moto su consiglio di Rinchina, andremo a visitare il “leone che dorme”, una conformazione collinare che pare assomigli ad un leone.
Natasha è emozionata, ama le moto.
Oggi è il suo compleanno e regalarle un viaggetto in moto è il minimo.
Dopo neanche 60km arriviamo e dalla cima della collina è possibile ammirare un fantastico scenario.
Scendiamo a valle, vicino al fiume, e sistemiamo la tenda; il posto sembra sicuro.
E’ ora di cena…un appuntamento come questo potrebbe farvi rompere con qualsiasi donna…scomodo a bestia, zuppa liofilizzata e moscerini…ma Natasha sembra gradire, è la prima volta che fa un’esperienza del genere e tutto è una sorpresa per lei.
Il sole va giù ed il freddo comincia a calare, accendiamo il fuoco e cuociamo delle kartoshka (patate) direttamente sulla brace, deliziose.
Si dorme…o perlomeno ci si prova. A domani.
La mattina ci alziamo doloranti ed assonnati, e appena tornati a casa mi cimento di nuovo in cucina, nella preparazione di una torta, stavolta sarà torta alle carote.
Il risultato non è il top ma qui tutti sembrano apprezzare, meglio così.
Beh, che dire, ormai è una settimana che sono qui ad Ulan Ude, adesso avrete capito perché!
Domani dovrei ripartire, un po’ a malincuore devo dire, ma la mia missione ancora non è compiuta.
Tanti saluti!
Ulaanbaatar. Ritorno all'Occidente.
Ripartiamo, con calma, un po’ delusi di non aver trovato una guida per andare al parco nazionale.
In moto sarebbero altri 800km andata e ritorno, tutti in fuoristrada, significherebbe 3-4 giorni di guida; rischioso, siamo già molto stanchi.
Mancano pochi km ad Arvaikheer, dove i miei amici torinesi sanno che c’è una missione cattolica presieduta da Padre Marengo.
Appena arrivati, sono le 13, ci fermiamo per trovare un posticino per mangiare le solite aringhe, intanto chiediamo ad un signore se conoscesse il Padre.
Una telefonata, due parole in inglese, ed il signore ci accompagna con la sua jeep fino alla missione…incredibile, trovata al primo colpo!
La chiesa è realizzata in una gher, per dare meno nell’occhio.
Le famiglie si avvicinano alla missione perché qui offrono docce gratuite 2 volte alla settimana, asilo gratuito ed una serie di servizi che in città non si sognano neanche.
Una presenza silenziosa ed importante, non invasiva a quanto ci è parso.
Ma sono le 13 passate, e la fame aumenta…ci chiedono se abbiamo mangiato..no…neanche a farlo apposta siamo arrivati qui per pranzo e senza batter ciglio le due suore ci preparano delle ottime farfalle al pesto, con frittata, formaggio, pane e dolce finale!!!
Dopo una chiacchierata sulla cultura mongola e su come la missione sia nata e cresciuta, ci spostiamo a visitare gli altri locali.
I mongoli usano questo ricovero per fare tutto quello che non è permesso a casa loro.
Facebook spopola anche qui.
Nell’asilo stanno circa 20 bambini, che il primo mese di frequentazione di solito ingrassano di 3-4kg. Tutta salute!
Questo qua sotto è un bambino, ha i capelli lunghi perché ancora non ha 3 anni, età alla quale gli verranno tagliati a simbolo del passaggio dell’età più critica.
Ci salutiamo tra mille sorrisi e promesse, è stato bello soggiornare qui seppur per poco.
Sulla strada per Kharkhorin, la vecchia capitale, non è raro vedere gher e bambini che giocano vicino alla strada.
Due di loro stavano piangendo per non so cosa.
Li chiamo a me, si avvicinano, gli regalo alcuni adesivi, torna il sorriso e si mettono in posa per una foto.
Come soldatini.
Proseguiamo, le tracce nella valle si moltiplicano.
A volte diventano 10, forse 15, hai l’imbarazzo della scelta.
L’attenzione però va sempre mantenuta alta, sia per la presenza di sabbia a tratti che fa imbarcare la moto, sia per i guidatori mongoli, che non si fanno scrupoli a passarti radente pur di proseguire il loro cammino.
Incrociamo un tempio buddista in stile tibetano.
Quasi abbandonato.
Dopo la breve visita ci fermiamo a pochi km dalla città, in un hotel con campo gher, contrattiamo il prezzo ma è veramente difficile spuntarla, otteniamo 10.000 Tugrit a testa per dormire e doccia.
Mangiamo nella gavetta una calda minestra di pasta e fagioli con secondo di tonno e piselli.
Niente male.
La mattina ci svegliamo con la pioggia ed il freddo.
Imbottisco la tuta Moto One, indosso l’antipioggia.
Tutti bardati partiamo alla volta dei templi della vecchia capitale dei tempi di Gengis Khan, il sanguinario imperatore mongolo vissuto nel 1200.
Un’ora è più che sufficiente per osservarne la storia.
Rimontiamo in sella.
Qualche sprazzo di sole apre il cielo.
E’ ora di pranzo, e tante sono adesso le occasioni per mangiare, ci stiamo riavvicinando alla “civiltà” e le strade sono costellate di locali dove si fa cucina locale.
La preparazione delle vivande non è proprio asettica, diciamo..
Ma l’aspetto finale ed il gusto sono davvero ottimi!
Non so perché ma quando viaggio ho sempre una fame bestiale e quando vedo questi piatti li divoro.
Proseguiamo, la strada è asfaltata, ma è peggio delle piste.
Delle buche che potrebbero inghiottire un’auto si aprono lacerando la superficie scura dell’asfalto, ogni tanto quest’ultimo lascia posto a tratti sterrati con sassi grossi, le vibrazioni sono tremende, ed il pericolo aumenta quando l’asfalto si fa nuovamente liscio ed acceleriamo, ignorando che la prossima buca è lì dietro l’angolo pronta a far saltare i paraolii di Alex o a farci ondeggiare paurosamente.
Le auto non si fanno scrupoli a frenare improvvisamente o spostarsi sull’altra corsia per evitare le asperità, costituendo un gran rischio per noi.
Arriviamo finalmente ad Ulaanbaatar.
La strada è migliorata negli ultimi km, ma il traffico è veramente caotico.
Ci manteniamo in fila ed uniti, in gruppo, mentre attorno è l’anarchia, clacson, sorpassi azzardati, cambiamenti di traiettoria improvvisi: bisogna stare in tensione ogni secondo per evitare il peggio.
Arriviamo al Golden Gobi. Pieno! Ripieghiamo sul Gana’s Guesthouse, in mezzo al campo gher, un posticino non proprio consigliabile, ma hanno una specie di cortile interno dove ricoveriamo le moto.
Le stanze non sono il top a pulizia ma i letti sono comodi e la doccia è calda.
La sera siamo stanchi e non abbiamo voglia di cucinare, ci permettiamo un ristorante coreano per riempire le nostre pance, e godiamo quando ci viene servito questo bendiddio.
Tutto molto speziato, ma ottimo. 8€, neanche.
Il giorno seguente facciamo un breve tour per UB, la mattinata parte per acquisto dei souvenir da parte degli amici torinesi, io skippo, odio comprare souvenir.
UB è una città moderna, all’occidentale, grandi palazzi e nuove costruzioni si fanno spazio dove una volta c’erano delle gher e campi nomadi.
E’ il compleanno di Damiano e festeggiamo con un pranzo mongolo.
Qui siamo proprio nel centro, niente di speciale, una grande piazza, un grande palazzo per il governo, la statua di Sukhbaatar al centro, eroe mongolo che li ha resi indipendenti dalla Cina, ed all’interno dell’ingresso, la rappresentazione del grasso Gengis Khan.
Vicino alla guesthouse c’è anche un tempio, purtroppo è chiuso ma anche da fuori è molto pittoresco.
Per cena facciamo di nuovo festa, prepariamo un chilo e mezzo di spaghetti alla carbonara, ma mancano sale, formaggio ed abbiamo pure poca pancetta…i locali apprezzano ma gli confidiamo che una carbonara così fatta in Italia può significare la galera!
Di nuovo mattina.
Ci separiamo, Guglielmo, Damiano ed Alex mi salutano puntando verso la Russia, ammetto che mi dispiace, dopo aver vissuto una tale esperienza insieme.
Ma la mia strada è ancora verso Est.
Mongolia. Storie di un altro mondo.
Saluto Liza, ottima host CS, direi forse la mia preferita per gentilezza, nonostante non parlasse bene inglese.
La strada da Novosibirsk in poi sembra buona, ma la pioggia mi coglie di nuovo, regalandomi la solita sensazione di depressione: odio la pioggia quando viaggio, non mi permette di fare i km che voglio, niente foto o quasi, umido addosso..
Lascio l’Oblast di Novosibirsk ed entro nel Krai di Altai (Oblast è il nome delle regioni interne, Krai quello delle regioni di confine).
Devo ripiegare sulla solita gastinitza, soliti 1200 rubli. E’ pulita ed accogliente, ma l’indomani forse sarà ancora brutto tempo, chissà, intanto i pensieri non sono dei migliori…
La mattina mi sveglio di buona lena, alle 6.30, per percorrere tutti i 550km che mancano al confine, ed il dolce che mi aveva preparato Liza il giorno prima è un’ottimo carburante per partire bene.
Entro nella Repubblica di Altai ed il paesaggio si fa interessante, cominciamo a salire e ai lati si ergono montagne sempre più verdi ed alte.
La mia media si attesta sugli 80, per preservare le gomme che mi avevano avvertito essere molto morbide e poco durevoli.
Questo fa sì che mi superino diversi mezzi, non ci faccio caso, finché ad un certo punto non mi superano due moto…interessante, un Transalp ed un’Africa Twin, con tutta l’apparenza di andare verso la Mongolia: li seguo accelerando un po’.
Si fermano, mi fermo anche io – “Are you going to Mongolia?” “Yes, you?” “Me too!” “Ok let’s go!”.
Amo il popolo motociclistico, 2 parole e ci siamo già intesi. Loro sono una coppia sposata ed un amico, Ungaro-Rumeni.
Il Katun, fiume che dalla Mongolia scorre verso la Russia attraverso gli Altai, ha acque veloci e torbide, che ogni tanto danno luogo ad anse e paesaggi spettacolari come questo.
Si prosegue, arriviamo a Kosh Agach, dove dormiamo in una camera tripla, ma in 4, spendendo 500 rubli a testa, non male. Ultimamente le Gastinitza sono molto pulite e c’è il divieto di entrare con le scarpe/stivali.
La mattina dopo riprenderemo il cammino verso Tashanta, mancano solo 50km ed oggi, Domenica, la frontiera è chiusa.
La mattina non c’è corrente, mancava dalla sera, ma pensavamo la “spengessero” per risparmiare in queste regioni così remote, invece è un blackout della regione intera ed i generatori sono accesi per mandare avanti le attività più importanti come polizia, ospedali etc. ma nel supermercato i conti si fanno con la calcolatrice e la coda si allunga.
Si arriva a Tashanta, che emozione, siamo quasi in Mongolia!
La coda per la frontiera è lunga, e non si salta pur essendo mezzi “leggeri”, così attendiamo diverse ore, e nel frattempo ci raggiungono altri 3 motociclisti con BMW GS e…sono italiani, di Torino, incredibile!
Facciamo gruppo ed espletiamo insieme le pratiche per il passaggio in terra mongola, che ci rendiamo conto essere così lunghe perché i cittadini dell’Asia centrale viaggiano stipati come sardine in piccoli van che trasportano di tutto, e così la polizia deve fare molta attenzione agli eventuali trafficanti.
Ci siamo…gli ultimi km di sterrato, gli ultimi controlli alla frontiera mongola e….MONGOLIA!
Gli ungaro-rumeni ci hanno lasciati perché volevano sistemarsi presto per risolvere un loro problema alla moto, forse li ritroveremo strada facendo.
Appena entrato l’aria che si respira è già diversa.
Comincia lo sterrato, e come benvenuto troviamo un Land Cruiser rovesciato con una gran botta davanti, e due corpi coperti a fianco, mentre una trentina di persone ai bordi della strada piangono, con solo un poliziotto addetto al controllo.
I miei nuovi compagni arrivano: Guglielmo, Alex e…manca Damiano?
Torniamo indietro, è caduto, e sta sistemando la borsa sinistra sulla moto, che nella caduta ha rotto il supporto (in plastica!) che la teneva appesa al telaio.
Decidiamo di fare pochi km per fermarci a dormire e svegliarci presto per permettere un cambio gomme e la riparazione della borsa.
Ci fermiamo nel primo villaggio, e mentre facciamo benzina arrivano dei bimbi come mosche sul miele: ci si appiccicano e non si staccano finché non gli regalo degli adesivi.
Le facce sono Kazakhe o forse Uzbeke, occhi a mandorla ma visi caucasici.
Un mongolo che era alla pompa di benzina si propone per “ospitarci”, la cifra è 10.000 Tugrit per vitto ed alloggio, 4€, mica male, lo seguiamo!
La cena è a base di palline di pane, burro rancido che a dire il vero non ha un gran sapore, riso e carne di pecora, e poi la specialità: latte di cavalla!
Il latte di cavalla non è pastorizzato e ce lo servono come una prelibatezza. Vi descriverò il suo sapore.
Sembra di bere yogurt irrancidito allungato con acqua, frizzantino e dal retrogusto di lievito di birra. Pessimo…le nostre facce non mentono ed i mongoli ridono.
Noi gli facciamo assaggiare il caffè, senza zucchero. Le parti si invertono e le facce schifate stavolta le hanno loro.
La mattina cambiamo le gomme, ma prima c’è una sorpresa: il latte di cavalla non era offerto, ma andava pagato a parte! Ci chiede altri 10.000 Tugrit a testa, gliene diamo 5.000 e si accontentano salutandoci con gran sorrisi.
Arriviamo dal gommista. Ma dove è il gommista?
Si, il gommista è lui, avrà 10-12 anni, ma ha una padronanza della tecnica straordinaria per la sua età…se pensiamo a cosa fanno i nostri dodicenni…beh…
La strada si fa sterrata dopo circa 40km, ci aspettiamo che la Mongolia sarà tutta così per migliaia ancora.
Ogni circa 3-400km si presenta una “città” con i servizi più importanti e tratti più o meno lunghi di asfalto.
Olgii. I bambini continuano a correrci incontro come matti, come se vedessero dei campioni della Parigi-Pechino.
Il paesaggio è mutevole, si vedono laghi, montagne e sullo sfondo ogni tanto anche della neve.
Qui hanno tutti motociclette cinesi da due lire, viaggiano da un minimo di due ad un massimo indefinito generalmente attorno a 5, e senza casco.
La segnaletica è in cirillico. Menomale, il mongolo antico è come l’arabo, solo che si scrive dall’alto verso il basso.
Si trova sabbia lungo il tracciato, si ha difficoltà ogni tanto a gestire la mole di queste moto.
Ad un certo punto scorgo qualcosa di davvero interessante, sembra un falconiere, con un’aquila, e suo figlio a gran gesti mi invita giù da loro. Vado.
Mi indica il lazo con cui è tenuta l’aquila, io rifiuto, ma il padre mi mette a sedere su un piccolo cumulo, forse di m***a, e senza darmi tempo di pensare mi ritrovo col guantone e l’aquila a pochi cm dalla faccia. Ha degli artigli come dita ed un’apertura alare pazzesca. Che bella.
Ci chiede 5000 Tugrit mentre torniamo alle moto…ma qui si paga tutto! Gliene do 1000 e saluto.
I cavalli sembrano in cattività ma in realtà sono tutti marchiati, però pascolano liberamente.
Si aprono, ogni tanto, gran dirittoni, do fondo all’8 e mezzo raggiungendo anche i 120 orari.
Le buche che compaiono senza preavviso, a causa delle ombre inesistenti o quasi, mi convincono a desistere e mantenere una media più bassa.
Il toulée ondulée è presente quasi ovunque. Per evitare vibrazioni si devono tenere gli 80-100, ma il problema delle buche suggerisce di vibrare un po’ ma mantenere la sicurezza.
Oggi facciamo anche 3 guadi, il peggiore sarà una 40ina di cm con bei sassoni sul fondo.
Alex col suo 1100 lo fa senza problemi, io pure, ma Guglielmo e Damiano hanno qualche problema.
A Guglielmo si spenge la moto perché dell’acqua è entrata nei condotti aria, e dobbiamo portarlo a riva a spinta, mentre Damiano cade all’ultimo ed anche lui imbarca acqua. Spinta.
Le moto ripartono dopo una decina di minuti, mancano decine di km al prossimo paese ma è quasi buio, decidiamo comunque di tirare per arrivare a Khovd.
Non vediamo quasi niente e gli ultimi 5km sono una vera e propria pista di sabbia, è difficile tenere le moto dritte e Damiano cade di nuovo, senza conseguenze.
Ci accampiamo finalmente al limitare della città, nel campo Gher.
Un bambino esce fuori e chiediamo di dormire, permesso accordato…esce poi anche la mamma, chiediamo di nuovo “Can we sleep here?” e lei fa “Of course!”.
Rimaniamo stupiti. Qui, che parlano inglese?
La notte si fa fredda, ci chiudiamo nelle tende dopo una cena condivisa.
Ciao Russia, ci rivediamo...
Barabinsk.
Mi ha detto Ivan che lì ci sarebbe stato un buon ostello a prezzo discreto.
Mi dirigo verso Novosibirsk con l’idea di fermarmi proprio lì, nel mezzo preciso tra Omsk e la capitale della Siberia.
Parto non prestissimo, la moto la sento bene ma ogni mattina devo riabituarmi alle buche delle strade russe ed ogni volta ho paura che si smonti tutto.
La strada non è fantastica, sia per i cantieri che trovo che per la monotonia.
I camion la fanno da padrone in tutta la Siberia, sono presenti sempre e comunque, così come il traffico, che non accenna mai a sparire nonostante siamo nel mezzo del niente.
Verso l’ora di pranzo accosto sempre, e prendo delle deviazioni per i campi, in pochi metri mi trovo in dei paradisi con betulle e distese di steppa tranquille e perfette per la pausa spuntino.
Poi c’è sempre qualche sorpresa: ogni tanto vedevo persone chinate a raccogliere non so cosa in ogni angolo della steppa, ma cosa staranno cercando?
Allora mi chino anche io e…ecco, la sorpresa della Siberia sono queste fragoline di steppa!
Ogni tanto, anzi spesso, qualche Lada mi passa accanto, i Russi amano fare pic-nic nella steppa, ed è da loro che ho preso ispirazione.
Sono contento.
Specie quando sono da solo, nessuna macchina in vista, mi siedo e scruto la Siberia, sento qualcosa di grande.
Guardo la moto, ne sono fiero, realizzata in un pezzo unico grazie alla sapienza di Fabio, mi dà soddisfazione: consumi mai sotto i 19km/l in qualsiasi condizione, solo 1.5kg d’olio consumati in 10.000km, ciclistica precisa nonostante la mole, frenata migliorata di molto, e nonostante gli strapazzamenti, nessun cedimento.
Riparto, la strada continua dritta inesorabile, quando di nuovo mi coglie lo spavento.
No, dai, non posso essere fermato per l’ennesima volta dalla polizia!
Rallento.
Mi sento stupido…
Mi avvicino, è una sagoma di cartone: questo era già successo in Polonia 2 anni fa, sembra che nei paesi dell’Est sia in voga questo metodo preventivo…e funziona!
Arrivo a Barabinsk, mancano pochi km e potrò riposarmi nel dormitorio che mi aveva consigliato Ivan.
Molto lentamente arrivo, in questo paesucolo senz’anima, la Gastiniza bianca con finiture blu appare, accosto.
Zdrastvuitye! (Buongiorno) Skolka stoit za notch? (quanto è per una notte?)
1850 rubli. COSA?
Sono più di 40€, ringrazio e me ne vado. Imposto sul Garmin il più vicino motel, 4 km e ci sono.
1000 rubli, 20€, mi accontento, l’atmosfera è buona ed ho una bella stanza con bagno in comune, ma pulito.
Si riparte. Mi aspetta un’altra tappa da soli 330km.
Ho diviso la distanza tra Omsk e Novosibirsk in due tratti uguali di 330km, modesti da percorrere in una giornata intera, ma pesanti.
Perché? Presto detto.
Le strade siberiane si fanno sempre più uguali km dopo km, prendo sonno guidando perché il paesaggio non cambia, in più oggi non riesco a fermarmi più di 10 minuti per la pausa pranzo che devo andarmene perché sono sotto attacco dalle zanzare.
A lato della strada è tutto un acquitrino.
Penso che se dovessi sbandare la moto affonderebbe inesorabilmente nelle acque siberiane, e d’inverno rimarrebbe congelata là sotto.
E magari tra milioni di anni la troveranno degli scienziati e si domanderanno cosa fosse.
Arrivo a Novosibirsk.
Proprio come l’aveva descritta Ivan: grande, enorme, ma con strade capaci di contenere il suo traffico, e così in non molto tempo raggiungo la mia prima destinazione, dopo aver cercato indicazioni nella zona prescelta: NBS Motor, concessionario e meccanico moto.
E’ l’ora del cambio gomme, ancora hanno del battistrada, ma sono del tutto inutili per le piste mongole, così su loro consiglio (anche perché non avevano molta altra scelta) monto delle Metzeler Enduro 3 Sahara.
Il meccanico non vuole essere fotografato e mi chiede di uscire…esco odiandolo, perché detesto quando qualcuno mette le mani sulla moto senza che possa controllarlo.
Mi garantiscono 3-4000km di percorrenza con queste gomme. EH???
Io spero di farcene tanti altri, devo arrivarci in Giappone!
E adesso raggiungo Liza.
Abita 20km a sud di Novosibirsk, un’altra mezzoretta e la raggiungo. Ci incontriamo alla fermata del bus vicino casa sua.
Arriva in bicicletta, su una graziella, e mi porge un foglio con una traduzione in inglese.
Non parla benissimo inglese perciò si è prodigata affinché capissi, traducendo con il suo pc e stampando il testo.
Andiamo nel suo appartamento, mi concede una doccia riparatrice e poi andiamo…nella spiaggia!
Quale spiaggia? Quella dell’Ob sea, ovviamente, dove l’Ob forma un bacino immenso, tale da apparire come un vero e proprio mare.
Facciamo barbecue sulla riva dell’Ob Sea, che ganzo, penso che potrei fare spesso un fuocherello vicino ai prossimi appostamenti tenda.
Si fa buio, la tempesta che vedevamo all’orizzonte si avvicina impetuosa, ce ne sbattiamo un po’, finché poi non comincia a piovere seriamente, dopo essere stati avvertiti da qualche forte raffica di vento.
Cerchiamo di scappare verso casa ma è impossibile, così chiediamo soccorso ai russi che avevano la tenda accanto a noi, e loro contentissimi ci ospitano e ci offrono da mangiare e da bere, e buona compagnia.
Siamo bagnati fradici.
Loro, ubriachi fradici.
E’ bello stare in compagnia di locali, l’atmosfera è davvero russa!
Il giorno dopo su consiglio di Liza vado allo Zoo.
Prendo una Marshrutka, i minibus che scorrazzano come matti ovunque nei paesi ex USSR, e poi la Metro, che qui va come le giostre…a…gettoni!
Devo aver avuto una faccia molto spaesata all’uscita della metropolitana, perché questa ragazza si è avvicinata a me e mi ha chiesto se avessi bisogno di aiuto…una volta saputo che stavo andando allo zoo si è offerta di accompagnarmici, facendosi quasi 2km a piedi…wow..spasibo!!
All’interno ci sono animali di ogni tipo, mi chiedo come possano resistere d’inverno animali della Savana, o d’estate animali come il lupo siberiano o l’orso polare…qui d’estate si arriva anche a 40°C, l’escursione è esagerata se pensiamo ai -45 dell’inverno.
Per tornare prendo il “trenino” diesel che dallo zoo fa un giro di qualche km dentro il parco. E’ usato dai russi per “allenarsi” alla Transiberiana.
Tipica strada vicino alle bellezze del centro…sterrata!
La sera decido di portare un po’ di spirito italiano in questa terra fredda, e preparo sugo con carote, cipolla, pomodori pelati e…olio di semi di girasole…accidenti!
Non riesco a trovare tutti gli ingredienti, e le verdure sono di scarsa qualità, forse arrivano dall’estate scorsa…però almeno la pasta la prendo buona: Maltagliati, a 1.50€ per mezzo chilo, mannaggia! La Barilla costa più di 2€…menomale abito in Italia!
Il risultato non è male infine…però mangiamo con cucchiani…ahhh, la cultura gastronomica, se sapessero cosa è!!!
Beh, mi aspetta l’ultimo giorno a Novosibirsk, anzi, a dire il vero è già finito, e domani è l’ora di saltare in sella verso gli Altai e la Mongolia.
Liza è stata un’ottima host, accomodante e gentile, nel vero spirito Couchsurfing.
Da ora in poi starò abbastanza lontano dalla civiltà, presumo, almeno dopo il confine mongolo.
Perciò i collegamenti potrebbero essere troncati già da domani, o al max tra 3-4gg, per circa 2 settimane.
Pazientate, me ne vado un po’ fuori dal mondo.
Siberia. La terra che dorme. Anzi no.
Ekaterinburg è bella, forse la più bella città russa che abbia visitato, per ordine, pulizia, architettura, storia, vita.
Ma c’è sempre qualcosa che manca.
Come dice Marta (un’altra motociclista in viaggio con destinazione Giappone) sembra che alle città russe manchi…l’anima.
In Europa annusi la storia ovunque, dovunque ti giri c’è un aneddoto, un libro su cui studiare, qui sembra tutto talmente recente e sotto una bolla di cristallo che non pare vero.
Comunque, non mancano gli spunti interessanti, ed anche qui vecchio e nuovo si scontrano in una battaglia senza pari dove le case tradizionali in legno perdono sempre.
La prima sera Oksana mi accoglie nella sua casa, ed andiamo a fare 2 passi in centro, io esco in pantaloncini ed infradito: me ne pentirò, pioverà e farà freddissimo!
Comunque riesco lo stesso ad ammirare il tramonto sulla città “nuova”.
Lo skyline della vecchia città non è certo da meno!
In centro si trovano i classici palazzi/monumenti che si possono vedere in qualsiasi altra città sovietica.
Il palazzo del municipio…
Lenin…
La cattedrale ortodossa con le sue incredibili cupole dorate.
Altre chiese ortodosse.
L’università.
Sverdlov.
Ecco, Sverdlov, chi era? Era un politico e leader socialista degli anni 20, e vi chiederete voi, che ci fa qui?
A lui è stata dedicata la città in tempi sovietici, che fino al 1991 si chiamava infatti Sverdlovsk.
Lascio ancora spazio alle immagini, che parlano da sole, Ekaterinburg ha davvero mille angoli e punti di vista diversi ed altrettanto affascinanti.
Una curiosità: da quando sono in Russia ho notato che strappare un sorriso è veramente difficile, perché?
Secondo alcuni è perché i russi esprimono senza artifizi quello che provano, perciò se non hanno voglia di sorridere non lo fanno; secondo altri è proprio consuetudine non sorridere.
Questo mi ha messo molto in difficoltà, perché il sorriso è la prima arma che usiamo quando frequentiamo qualsiasi luogo pubblico.
E al 99% in Russia nessuno risponderà al sorriso, a meno che non si trovi in situazione di imbarazzo.
Le due ragazze conosciute ad Ekaterinburg mi hanno suggerito di fare lo stesso: non sorridere…potrebbe risultare equivoco!
E così mi hanno dato dimostrazione della tipica espressione russa!
Approfitto di un giorno in più in città per fare manutenzione: l’uniball cigolava e così ho smontato il leveraggio ed ho ingrassato con Nils Performance Grease Blue (non volevo portarlo, menomale non mi sono dato ascolto quando l’ho pensato!)…operazione non semplicissima date le condizioni dell’officina improvvisata, ma problema risolto!
Un’occhiata anche alla batteria Aliant…che sta facendo benissimo il suo lavoro!
Ecco, questo è l’appartamento dove ho alloggiato per 3 notti, in attesa di ripartire in direzione Omsk.
Ultimo saluto agli amici di Ekaterinburg.
Non sto più nella pelle…ieri ci siamo sentiti con Gianclaudio…è qui vicino…Gianclaudio chi?
Gianclaudio Aiossa, biker calabrese con in testa il record Milano-Vladivostok in 13 giorni.
Ci siamo visti più volte a migliaia di km da casa che in Italia.
Ed ogni volta era come sentircisi, a casa.
Quando incontri Gianclaudio è semplice respirare aria di amicizia, e vedersi ad Ekaterinburg sull’incrocio dei nostri itinerari è stato…emozonante!
Quando ho udito il sibilo della sua 3 cilindri ed ho scorto la sua sagoma mi ha colto un’esplosione di felicità.
Vai recordman, Vladivostok ti aspetta!
Mi aspetta una giornata piovosa e freddissima, 10°C forse; decido di partire comunque senza imbottitura: pessima decisione!
Dopo tre ore devo fermarmi perché sto congelando. Approfitto della pausa pranzo presso un Kafe dove mangio shashlick (spiedino di carne) per imbottire la giacca.
Nessun problema adesso, si prosegue, sempre sotto l’acqua, ma ben protetto dagli accessori e dall’abbigliamento Moto One.
Raggiungo Tyumen, la prima città siberiana, e accidenti se non è Siberia, il maltempo imperversa e non riesco a fermarmi neanche un po’.
Non so dove mi fermerò, ma una cosa è certa, se continuerà a piovere e fare così freddo per tutta la Siberia sarà dura arrivare in fondo.
Dopo una pesante giornata il tempo si rischiara, faccio benzina, scopro che la 80 ottani va bene sulla moto, non c’è molta perdita di potenza ed il motore gira rotondo e parco nei consumi, oggi 20.5km/l. E solo 56 cent al litro.
Una lussuosa Gastintiza è proprio davanti al benzinaio; sento il prezzo, 1200 rubli, vedo la camera, grande e con bagno privato, wifi, frigo, supermarket a due passi, insomma una pacchia, allo stesso prezzo di quello schifo di Gastinitza ad Ufa: Ya biru! (la prendo!)
Per risparmiare un po’ cucino sempre in camera…i soliti maledetti wurstel che sto imparando ad odiare. Tutto il resto costa carissimo e sono costretto a mangiare sempre questi insaccati.
La mattina parto col vento in poppa ed il sole che splende.
La Siberia è anche questo!
Mi fermo per pranzo. Mi allontano un po’ dalla strada principale, e sono in mezzo ai campi. Bello.
Adoro starmene qui da solo, con i miei pensieri, senza rumore di auto.
Quando per strada sono da solo, nessuno nello specchietto né dietro l’orizzonte, allora mi sento leggero, e felice.
Purtroppo non capita spesso, né adesso né sulla Transiberiana, c’è sempre traffico ed è veramente difficile non vedere auto, e questo va contro ad ogni aspettativa…io credevo che qui passasse un’auto ogni morte di papa!
La Siberia è soprannominata la terra che dorme, ma d’estate non pare essere così!
Arrivo ad Omsk.
Vengo accolto come un alieno, tutti girano intorno alla moto, forse non ne hanno mai vista una così, e chiedono continuamente foto insieme. Una la faccio fare anche con la mia macchina fotografica.
Arriva Ivan, il mio host, che mi accompagna a casa sua.
Vive con i genitori, l’appartamento è piccolo ma l’atmosfera è molto accogliente e subito mi offre una doccia, da mangiare ed un’uscita ad Omsk.
La cattedrale è senz’altro stupenda, peccato che i sovietici, come accaduto per tutti i monumenti religiosi, abbiano distrutto l’originale, questa è infatti solo una ricostruzione.
Il giorno seguente la cugina di Ivan, Olga, chiede di accompagnarmi in giro, studia italiano e per migliorarlo vorrebbe parlare un po’ con me: quando le ricapita di vedere un italiano ad Omsk, accetto volentieri!
Olga è una ragazza carina e gentile, dai tratti più europei che asiatici.
Mi fa da guida alla città e mi porta in un ristorante per assaggiare cibo locale: il più strano è l’akroschka, una specie di insalata in minestra, con brodo di…kvass!
Kvass, la bibita frizzante ottenuta dalla breve fermentazione del pane nero.
Andiamo alla chiesa ortodossa più vecchia, dove ancora regna un’atmosfera antica.
Il nostro giro termina al parco, la sera torno da Ivan a riposarmi ed a rimettere in sesto la moto: le strade russe hanno allentato (non so come) il bullone posto in fondo alla forcella anteriore destra e devo rimediare stringendolo…non è semplice perché andrebbe bloccato da dentro, ma riesco comunque.
Subito dopo mi aspetta la cena della mamma di Ivan…mmm ottima! Borsch, purè con carne, insalata di cavolo, poi miele artigianale, late, latte condensato, pane fresco, the…non mi sembra vero e divoro tutto con un grande appetito!!
Saluto Ivan, la mattina devo svegliarlo mentre sonnecchia perché per me si sta facendo tardi, racimolo tutta la mia paccottiglia e con l’ultimo sguardo ad Omsk mi dirigo verso la capitale della Siberia, Novosibirsk.
Asia. Stavolta per davvero.
Questi giorni sono stati, a dir poco, frenetici!
Couchsurfing è una gran cosa, ma ha i suoi difetti: quando il tuo host è troppo intento a farti stare meglio possibile può capitare che tu non abbia tempo per mantenere i contatti col “tuo mondo”.
E così non vi ho aggiornati per tanto, troppo tempo, è l’ora di rimediare!
Ripartiamo da dove ci eravamo lasciati: Volgograd – lascio la casa di Andrey, bella, ben arredata, pulita, la rimpiangerò!
Vado a Volzhsky, dove ho la promessa del console Camoirano di trovare i miei documenti; arrivo in ritardo, ma Arturo (che parla benissimo italiano, anzi friulano, dato che vi ha vissuto 20 anni!) e la collega del console sono lì che aspettano di andare all’UFMS, dove con grande sollievo ottengo finalmente la mia carta di immigrazione!
Scopro anche che il mio visto è stato rilasciato per la sola regione di Mosca..mah, ogni giorno una nuova! Vabeh, penso, chissene!
Gasss…sono le 16.30 quando finiamo di fare tutto, e devo essere a Saratov entro sera, mancano 360km.
Questa parte di Russia è davvero noiosa, dritta, piatta, senza niente di particolarmente affascinante da osservare, fatta eccezione per le buche e le sconnessioni, pericolose e noiosissime, presenti sulla strada.
Faccio benzina al solito prezzo ridicolo di 65€cent/l, mi guardo intorno e vedo il nulla.
La sera si avvicina, e non mi piace guidare in queste condizioni.
Però ho un appuntamento a Saratov, e non saprei dove dormire altrimenti; non tutti i mali vengono per nuocere – vengo ripagato da un doppio incontro che crea un’atmosfera magica, Sole e Luna si salutano e si danno il cambio per la notte.
Arrivo a Saratov che è già buio, evito una buca gigantesca per un pelo, sarei certamente caduto a terra con violenza se ci avessi messo anche solo una ruota…
L’appartamento delle mie due host si presenta piccolo e buio, meglio di niente, ma non c’è acqua calda! Decido di rimandare la doccia a data da destinarsi.
In giro per la città non c’è praticamente niente da vedere, un giorno buttato all’insegna della noia e dell’attesa della ripartenza. Non riesco a mangiare niente di locale per incomprensioni in lingua russa. Peccato.
Le mie host non sembrano molto propense ad uscire per mostrarmi qualcosa, credo sia una caratteristica comune in Russia?
Poco importa, la mattina seguente ripartirò.
Per colazione Gryechka con cipolle…ok non il top ma riempe la pancia!
Ci salutiamo così, con abbigliamento che dovrebbe fare il verso a qualche anime jappo ma che a me pare tanto alla cazzo di cane!!!
La tappa di oggi prevede l’arrivo a Samara, altri 480km circa di noiosa solitudine e pianure sconfinate.
Fortuna vuole che trovi una stradella che mi porta su un piano posto qualche centinaio di metri sopra al Volga: questo fiume è immenso, mai vista una cosa simile!
Il colore, e la vastità, ricordano un mare interno, ma è un fiume…incredibile!
Mangio i miei panini, preparati con una sorta di crema di carne che non sa quasi di niente ma ha calorie a volontà…quanto mi manca la buona cucina, non dico l’italiana, ma almeno la georgiana, o la turca!
CAMAPA!
Delle lettere a grandezza cubitale delineano l’ingresso a Camapa (ovvero, Samara, traslitterato in caratteri latini). Finalmente riesco a farmi una foto con una di queste opere grandiose poste all’ingresso di città, regioni etc.
Il mio host Andrei è un tipo svalvolato, ma la casa è pulita ed accogliente, ho una stanza tutta per me, con pavimento in parquet e porta scorrevole quasi alla giapponese.
La sera guardiamo la finale del mondiale di calcio ed io come al solito mi addormento pesantemente sul divano…la Germania è campione, ma lo apprendo solo la mattina seguente.
La giornata odierna prevede relax in piscina e city sightseeing.
Panico, quando scopro che il relax in piscina prevedeva sessione di 1h di vasche…diamine se soffro di brutto, mi manca il fiato e così decido di mettermi da una parte e godere del sole e del bagno senza sforzarmi più di tanto!
Andiamo verso il laboratorio di Andrei, che è un piccolo artigiano che produce oggetti in vetro, e mi insegna come si fa…ganzo davvero!
Incontriamo Anton, un amico, e ci dirigiamo verso un parco…Andrei decide di comprare qualcosa da mangiare, e da bere.
A fine giornata non avrò visto quasi niente di Samara, in compenso avrò riso quanto non ho mai fatto in vita mia, 2 bottiglie di brandy hanno reso Andrei un incontenibile fenomeno da cabaret!!!
Devo salutare anche Samara, oggi mi incammino verso Ekaterinburg, due tappe per un totale di circa 1000km.
Uscendo di città (ci ho messo una lunga, calda ora) mi trovo di fronte la Soyuz con la quale i russi hanno portato a termine decine di missioni spaziali…fenomenale!
La strada è lunga, e di nuovo non offre molti spunti.
Mi fermo a far benzina, è già passata ora di pranzo e la pancia brontola. Ho ancora del pane. Niente nel market interno al benzinaio, niente di invitante, decido però di prendere delle “chips” di pesce secco da accompagnare col pane rimastomi.
Niente male, l’odore ricorda il cibo da acquari però!
Faccio qualche foto, è pieno di venditori di miele, ne avvicino uno che esce dalla sua macchina e intratteniamo una breve conversazione…in russo!
Chiedo una foto, l’uomo si mette in posa, e sorridendo noto i suoi denti d’oro!!!
Anche qui ricordo i libri di Terzani, che descrivono russi dai denti luccicanti.
Mi chiede di inviargli la foto, ma mi dà login e password di non so cosa, così gli lascio la mia mail nella speranza che qualcuno mi contatti per rispedire indietro lo scatto. Probabilmente non succederà mai.
E mi dispiace un sacco, perché quando mi avvicino di nuovo con la moto accesa per ripartire, lui insiste per regalarmi un barattolo di miele chiaro…buonissimo tra l’altro!
Entro nel Bashkortostan, l’Oblast di Ufa, lasciando il Tatarstan. I russi sono molto orgogliosi di appellarsi col nome della propria regione (Tatar, Bashkort etc.)
Sembra che il petrolio non manchi, neanche in mezzo ai campi!
La sera arrivo ad Ufa, ma l’albergo che avevo visto su booking sembra deserto, nessuno alla reception, finché dopo 15′ la digiurnaia si affaccia e mi fa capire che non ci sono camere.
Non ci credo.
Ma sono talmente arrabbiato per la perdita di tempo e la scortesia che vado via lo stesso.
Evito accuratamente Ufa, non voglio rimanere imbottigliato nel traffico, e penso che potrei fermarmi nella prima gastinitza per strada.
Ne trovo una niente male, da fuori, dove però mi chiedono 1200 rubli…e sticazzi!!
La camera è piccola, con 2 letti, la porta si apre a malapena, il bagno è in comune, non c’è wifi e la colazione non è compresa…poi mi torna in mente che ad Ufa ho perso altre 2 ore rispetto al fuso precedente e così decido comunque di pernottare qui.
La mattina mangio le ultime fette di pane con il miele, qualche wafer e the scaldato col fornellino in camera.
Ci sono altre 2 moto giù, lascio un biglietto da visita, ma immagino già che non verrò ricontattato.
Il paesaggio cambia svariate volte oggi, finalmente, ed i 530km che mi separano da Ekaterinburg trascorrono senza noia alcuna!
Gli Urali mi attendono: sono una catena piuttosto bassa, sono sicuro di non aver mai superato i 1000m, nonostante questo si estendono in un territorio vastissimo, io ne percorro 300km di crinale.
Ed è un susseguirsi di laghi, acquitrini, boschi di abete, betulla, mi ricorda un po’ la Finlandia, un po’ l’Appennino.
Ed alla fine arriva Ekaterinburg.
Attendo un’oretta che arrivi Oksana, la quale mi apre la porta del suo appartamento, e dopo un’uscita serale ad Ekaterinburg corredata da pioggia e freddo (ed io tonto in pantaloncini corti ed infradito!) mi lascia dormire da solo con tutto l’appartamento a disposizione.
Not bad!
Volgograd, il destino dell'Europa fu deciso qui.
Nell’attesa dei documenti necessari per rendermi finalmente “legale”, ho approfittato per visitare Volgograd.
Vicino all’appartamento dove abito c’è la statua di Lenin più grande dell’intera Federazione Russa, 27m più basamento, con sguardo rivolto al Volga, ancora a proteggere la popolazione che fu dell’URSS.
Vado all’incontro in centro con i delegati del console, di nuovo quella maledetta strada, 30km di traffico e buche, lesioni nell’asfalto, tombini 5cm sopra dal manto stradale, i solchi delle ruote dei camion, pazzesco, rischio di cadere scavallandone uno.
Arrivo al Volgograd, nessuno ad aspettarmi, chiamo e mi dicono che non sarebbe più stato necessario, ci vediamo venerdi per la consegna dei documenti.
Poco male, vedrò il centro di Volgograd.
Nella piazza dove mi trovo c’è anche l’InTourist, unico albergo reperibile per i turisti non sovietici ai tempi dell’Unione. Accanto il palazzo delle poste centrali.
Giro a casaccio, a piedi, come faccio di solito, qui a Volgograd spira aria nuova, qualche edificazione recente qua e là, senza una vera logica pianificata, si affaccia sulla città, senza storia visiva perché distrutta durante la battaglia di Stalingrado.
Alcune costruzioni interessanti sono la stazione ed il ministero dei trasporti.
Mi dirigo verso il Volga, fa caldo e lì mi distendo con un po’ di brezza.
E’ veramente gigantesco, sembra un lago, o un mare interno, anche il colore blu intenso lo ricorda.
E’ ora di pranzo, davanti all’InTourist c’è in Gran Café, provo a controllare il listino e mi invitano a sedere…va bene dai, vediamo.
Ordino crepes con pollo e funghi, ed un Coca Cola da mezzo litro. Deliziose, 4€ e sono a posto per pranzo.
Il mio referente da casa (babbo) mi dà le coordinate per andare a vedere la statua della Madre Russia, su una collina a 6km da qui.
Rimonto in sella, in versione “sportiva” con solo giacca Moto One (e ovviamente con l’Arai) e già dalla strada principale scorgo questa figura enorme sbucare da dietro le pieghe delle colline, paurosa.
Ci arrivo sotto, la sensazione di grandezza è devastante, non so quanti metri sarà, 40, 50?
La sera, controllando su wikipedia, scopro che la statua è alta ben 87m, di cui 54m di corpo e 33m di spada.
Ai suoi tempi fu la più grande statua mai realizzata, record imbattuto per 22 anni.
La tecnologia usata da Nikitin, suo ideatore ed ingegnere, era all’epoca molto avanzata, una struttura in cemento armato precompresso riusciva a resistere agli stress provocati dagli enormi sbalzi delle braccia e della spada.
La fondazione è slegata dalla statua, che si regge solo col suo peso, così i cedimenti di fondazione stanno minandone la stabilità: la statua è in pericolo, ed in sordina, nel 2010, sono cominciati i lavori di consolidamento.
Il parco monumentale contiene altre grandiose realizzazioni, contenute all’interno del memoriale della fiamma eterna, e poi lungo un viale monumentale si trovano bassorilievi della battaglia.
Faccio qualche altro passo, qui vicino c’è anche una carina chiesa ortodossa, di recente costruzione.
Rimango ancora stupito quando mi volto a guardare l’immensità della statua, colpito dalla postura e dal gesto di richiamo verso i combattenti.
In Russia, tutto è più grande, la dittatura ha lasciato il segno.
Ripenso a quella collina, lì sotto giacciono 34.000 sovietici che Re Giorgio VI del Regno Unito rinominò eroi, perché da loro dipese il destino del mondo Occidentale, e non solo.
La battaglia di Stalingrado vide una resistenza estrema da parte di militari e civili sovietici, che grazie ad una battaglia quartiere per quartiere e casa per casa ottennero la vittoria ed il ritiro delle truppe naziste.
Oggi non saremmo qui a raccontare questa storia, se questi eroi non avessero scacciato l’armata nazista.
Torno a casa, con la mente ancora a quei fatti.
La sera mi affaccio dalla finestra e rimango suggestionato dalla vista che mi si para davanti.
Non può non tornarmi in mente l’ultimo libro letto prima di partire, del grande Terzani.
Buonanotte, Signor Lenin.