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Watashi wa Tokyo ni imasu!
La mia avventura alla Yamaha è durata una mattinata, molto intensa, vissuta appieno, ma adesso devo guardare oltre, verso l’ambita tappa di un viaggio che è più di una semplice strada. Prendo il by-pass, statale n° 1, che rapidamente mi conduce fino ai piedi del Fuji: è sempre uno spettacolo vederselo lì, spuntare dal niente, in mezzo alla pianura stagliarsi con i suoi 3600m, in una figura perfetta, conica, senza sbavature, quasi fosse stato modellato dall’uomo.
L’atmosfera del crepuscolo poi, che ne illumina solo la vetta, la bocca del vulcano inattivo, lo rende ancora più affascinante e divino.
Su consiglio di un tenerista giapponese di quelli incontrati ad Iwata, Masahito, mi dirigo verso il lago Saiko, alle pendici del Fuji sul suo lato occidentale.
Arrivo a sera tarda ma non rimpiango certo la scelta: costa 1000Yen dormire qui, non è male, anche se purtroppo non hanno la doccia.
Questa è la mia ultima notte di viaggio, e come concluderlo meglio se non in tenda. Ogni volta che entro nella mia Quechua verde mi sento come a casa, chiudo la veranda e la sensazione di calore aumenta. Esco per cena, mi preparo due buste di thai noodles ai gamberi che ancora conservo dall’Italia.
Sono stanco, non vedo l’ora di dormire. I pensieri cominciano ad accavallarsi. Impossibile spiegare come ci si senta al termine di un viaggio durato oltre tre mesi e mezzo, dopo 21.000km, disavventure che adesso ricordo con un sorriso, avventure che adesso ricordo con un velo di nostalgia. Le persone incontrate, eccole che mi appaiono in fila, le loro facce davanti ai miei occhi, i paesaggi che ancora mi fanno girare la testa, ed una sensazione di malinconia senza fine, adesso che sì, ho realizzato quello che da tre anni sognavo. Sembra ieri che sono partito. Sembra di aver vissuto una vita intera, allo stesso tempo.
Mattina. Il mio the al lampone è pronto, e la torta acquistata ieri al 7-11 mi attende, invitante, sul tavolo in legno del campeggio.
Rifletto ancora, la notte sembra abbia portato consiglio. La mia missione non è ancora finita. Adesso devo arrivare a Tokyo, prendere le chiavi della casa condivisa, vivere lì almeno uno o due mesi. Una grande scommessa, chissà cosa mi riserverà il futuro: sarò in grado di sopportare la pressione di una città così popolosa, di riuscire a mantenermi? Quel che sarà sarà, non è importante, l’importante è sapere di averci provato.
Prima di Tokyo mi aspetta il Fuji, non posso andarmene senza averlo scalato, almeno in moto! Giro l’angolo della strada e mi appare incappucciato, con un cappello di nuvole a tappargli la “bocca”.
Prendo il Subashiri Trail, l’inizio non è male, tra gli alberi che cominciano a cambiare colore, un asfalto perfetto e l’attesa delle curve e tornanti dietro l’angolo.
La moto, salendo, fatica un po’, già all’altezza del mare la sentivo un po’ fiacca e molto fuori carburazione salendo oltre i 5000rpm, adesso che salgo in montagna le manca proprio il respiro.
Arrivo alla stazione dei 2000m, mi faccio un breve giro di una mezzoretta per arrivare a delle cascate adesso inattive. Il paesaggio ha molta vegetazione, che lo fa assomigliare ad una montagna, ma che inevitabilmente il basalto e la roccia nera che costituisce il terreno ricorda che altro non è che un vulcano inattivo…beh, spero che lo sia, inattivo!
Purtroppo il meteo inclemente ha portato nuvole quassù e non riesco a vedere la vetta, né la pianura sottostante.
Mi porto a casa il mio souvenir, non compro mai stupidaggini alle bancarelle, questi tre sassetti saranno il mio ricordo del Fuji.
E’ ora di pranzo, mentre che attendo speranzosamente che le nuvole se ne vadano, e consumo l’ultima riserva di cibo russo: mais al vapore e polpette di pesce. Mi ricordo che andavo matto per queste polpette, adesso non riesco a immaginare come diamine potessero piacermi, ero proprio messo male in Russia!
Devo ripartire, la situazione dopo un paio d’ore non cambia.
Ci sono, di nuovo. Tokyo. La città più grande del mondo, la più popolata al mondo con i suoi 37 (trentasette) milioni di abitanti. Una cosa immensa.
Sono quasi impaurito da questa città di proporzioni abnormi, ma mi basta ascoltare un attimo il borbottare dell’ottoemezzo che ogni paura scompare.
Non faccio a tempo a sistemarmi nella mia nuova abitazione che già è tempo dei saluti. Dopo essere stato calorosamente accolto dal fiesolano Guido nella sua abitazione di Meguro, dove ho passato la prima notte, si fa vivo Henry, un ragazzone di Mercatale V.no (frazione di Montevarchi) che lavora qui all’ambasciata, nell’ufficio militare, da ormai un anno. Vado a trovarlo!
Simpaticissimo ed alla mano, amico di amici, mi presenta poi anche il Col. Gasperini, una persona tutta d’un pezzo che mi augura il meglio e si mette a disposizione per qualsiasi evenienza.
Torno a casa, è la sera del mio primo giorno a Tokyo, già mi rendo conto delle sue dimensioni spropositate, solo per arrivare in ambasciata ho fatto 6km a piedi, ma ne è valsa la pena, mentre passeggio mi si apre la vista sulla Tokyo Tower, suggestiva di notte molto più che di giorno.
Tokyo di notte è meravigliosa.
Tra grandi sbalzi d’umore giornalieri, spero di consumare una fetta importante di tempo ed emozioni in questa città dalle mille risorse.
Intanto sarò qui fino a novembre, poi vedremo…
Bentornata a casa.
28 Settembre, devo salutare le Manjushaka per partire la mattina verso le 9, direzione Iwata.
Queste ragazze sono una forza, piene di energia!!!
Passo anche a salutare il simpatico benzinaio che aveva chiamato Nozomi la prima sera, per farmi venire a prendere al suo distributore, dato che non trovavo la loro abitazione.
Faccio il pieno e parto.
La prima grande città è, ovviamente…Tokyo!
E’ di nuovo una forte emozione vederne i grattacieli sbucare da dietro la collina, mi commuovo come già mi era capitato nella traversata da Sakhalin ad Hokkaido, mentre vedo la Tokyo Tower svettare col suo bianco/rosso in mezzo agli edifici.
Dopo essere uscito da Tokyo, caotica in periferia ma scorrevole in centro, e dopo aver rischiato una multa per aver sorpassato la linea continua gialla (per avanzare la coda ad un semaforo), mi fermo in quello che sembra un posto tranquillo e più arieggiato per fare il mio pranzo..ho i minuti contati, sono già in ritardo, e menomale che le Manjushaka mi avevano preparato un delizioso bento!
Sono ormai vicino ad Iwata, la sera e il buio si approssimano.
Ho dovuto percorrere una 50ina di km in autostrada, spendendo i miei bei 1500Yen, azz..davvero un sacco, di nuovo, circa 12€!
Ma altrimenti avrei ritardato davvero troppo, e con i giapponesi, si sa, è meglio essere puntuali!
I pochi km che mi separano da Iwata mi riservano una bella sorpresa, vedo tanti bei campi con dei cespugli perfetti, che mi chiedo cosa siano: alla fine scopro che sono coltivazioni del famoso Ocha, il the verde giapponese.
Arrivo al concessionario Yamaha YSP, dove Kasai, che lavora in Yamaha Motor Japan, mi stava aspettando da una ventina di minuti.
Salutiamo il proprietario ed andiamo a casa sua, dove passerò la notte…sono emozionato, mi sento già parte della famiglia Yamaha!
E il bello è che parla anche italiano!
Kasai ha lavorato diversi anni a Milano, ma da oramai 20 anni è di nuovo in Giappone, nonostante questo ricorda molto bene l’italiano, ed anche sua moglie riesce a parlare qualche parola.
Per cena c’è un lautissimo pasto a base di sashimi, insalata, riso, carne e chi più ne ha più ne metta…ed addirittura c’è la dedica negli hashi!
Non è finita, credevo di godere già abbastanza, poi Kasai accende la tv e scopro che si corre la MotoGP, adesso!! E’ la prima volta che vedo un gran premio durante il viaggio, sono gasato!
Kasai gufa tutto il tempo perché gli hondisti in testa cadano, così accade e lui balza in piedi per festeggiare la vittoria di Lorenzo, fotografandone l’arrivo al traguardo addirittura!
Colazione: chi è stato in Italia sa cosa piace agli italiani, e così ecco delle fantastiche brioches con latte e frutta!
Saluto la casetta e la mia stanza sul tatami sperando di tornare a far visita qui.
Adesso è tempo di…Yamaha!
Appena dai palazzi appare l’enorme scritta Yamaha sopra al palazzo degli uffici strabuzzo gli occhi e prendo un gran respiro, emozionato!
Kasai mi dà l’ok per l’ingresso al Communication Plaza, varco il cancello, svolto a destra e…WOW…non posso crederci..
Un’accoglienza calorosissima e inaspettata…non ho parole, veramente, arrivare qui da Montevarchi, dopo 21.000km e 3 mesi e mezzo di viaggio, ed essere accolti ufficialmente da tutto il Communication Plaza Yamaha, è davvero qualcosa di unico!
Non posso non allegarvi anche la sequenza video…aguzzate le orecchie, il “WOW” che ho scritto poco sopra l’ho anche esclamato da dentro il casco appena avvistata la folla!
La folla si riversa attorno alla moto per osservarla da ogni angolazione.
E noto con piacere che anche alcuni amici del Club Ténéré Giapponese sono presenti, alcuni arrivano addirittura da Tokyo, è un’enorme soddisfazione vederseli qui ad aspettarmi!
La rigida “schedule” programmata dal team Yamaha prevede anche alcune pause, approfitto per visitare il Museo, a partire da alcune leggende.
Le mie colorazioni…la vecchia sulla destra e l’attuale sulla sinistra.
Yamaha ha anche progettato motori da auto per Toyota, e la divisione musicale ha progettato gli interni della sportiva Lexus in modo che il sound del motore avvolgesse il pilota in una potente sinfonia.
Dopo aver visionato un power point ed un film a proposito della storia Yamaha con Masuzaki san, è l’ora di spostarsi presso la fabbrica, e qui c’è un’altra sorpresa: sul portone di ingresso c’è affisso un cartellone plastificato di benvenuto con su il mio nome!
Gli amici teneristi mi salutano, alcuni li rivedrò a Tokyo, altri tornano ad Hamamatsu.
E’ l’ora del “business” lunch al Caffè del Communication Plaza, torna anche Kasai e c’è il suo boss (sulla sinistra).
Intratteniamo una piacevole conversazione e ricevo apprezzamenti sulla moto, sono molto gratificato.
Per l’occasione in Yamaha avevano anche issato la bandiera italiana, un grande onore!
Kasai, gentilissimo, si offre di accompagnarmi ad un tempio shintoista qua vicino.
E’ bello e ben conservato, sembra sia originale e non ricostruito.
Ci salutiamo infine, con la promessa di rivedersi, io gli butto là scherzosamente di vedersi a Motegi se mi troverà un pass, vedremo!
Grazie Yamaha, Grazie Kasai!
Ad un passo da Tokyo!
Quanto tempo!
Ci siamo lasciati al ristorante di Shimura san, ero appena arrivato.
E adesso? Adesso sono ad un passo da Tokyo, è lì dietro l’angolo che sembra chiamarmi, ma ancora non è tempo.
Torniamo indietro di un poco.
Il ristorante italiano di Mrs Shimura si presenta bene, non in stile perfettamente italiano ma ci si avvicina, l’anziana (ma attivissima) 76enne ha una vera e propria passione per la cucina e per l’Italia.
I prezzi non sono esageratamente alti, con circa 25€ si mangia un primo ed un secondo.
Shimura san è sola, e durante la settimana manda avanti il ristorante solo con le sue forze, mentre il fine settimana il figlio che abita a Kamakura (poco sotto Tokyo) accorre ad aiutarla.
Per ovviare ai momenti di solitudine c’è un bel gattone, Gine-chan, un cincillà.
Shimura san è molto attenta, e cerca di ricalcare al massimo le ricette italiane, preparando la mattina stessa quello che servirà a pranzo: ingredienti sempre freschi e genuini, quasi tutti provenienti dal suo orto!
Il giorno per pranzo mi fa trovare in tavola questo bel piattone…e cosa potrei chiedere di più, ho divorato questi spaghetti al pomodoro chiudendo gli occhi ed immaginandomi in Italia…ahhh, il Bel Paese!
I clienti sono affezionati alla signora, ed ogni volta che Shimura san serve qualche pietanza le esclamazioni di stupore non finiscono mai: sugoi!!!
I giapponesi sono esaltati dall’Italia e dagli italiani, tant’è che quando un gruppo di commensali ha saputo della mia presenza al ristorante ha voluto vedermi in sala (ed io ero a lavorare nel campo, bello sudicio!); al mio ingresso non mi hanno fatto l’applauso ma ci sono andati vicini, me lo hanno fatto poi quando ho provato a dire un paio di parole in giapponese.
Infine, quando ho detto che venivo da Firenze stavano per svenire e il “sugoi” pronunciato da ognuno di loro all’unisono sembrava non finire mai.
Mi sono gasato.
Il giovedì, come promesso, siamo andati ad Aizu Wakamatsu, approfittando dell’uscita per andare a fare la spesa per il ristorante.
Per la strada si incontrano tantissimi campi di riso.
Shimura san guida la sua Volkswagen New Beetle con guida a sinistra (si, la guida a destra non le piace!) fin sotto lo Tsuruga-jo.
Lo Tsuruga-jo è il castello di Wakamatsu, la principale attrazione della città, e si trova all’interno di un’isoletta fortificata circondata da un fossato.
Ecco che la sua sagoma compare stagliandosi tra le fronde degli alberi che gli fanno da contorno.
Wakamatsu è una città samurai, e così Shimura san insiste per farmi fare una foto insieme ai finti samurai che campeggiano sotto al castello…insomma, un po’ come farsi la foto coi centurioni romani al Colosseo, solo che qui non si paga!
Il castello è stato completamente ricostruito, da 0, sulla base della foto di un francese che era riuscito a cogliere lo stato del castello poco prima della sua demolizione, negli anni ’20 se non sbaglio.
La sua forma attuale si deve ad un progetto del ‘500.
Dall’alto si può ammirare il panorama retrostante la città. La natura abbonda sempre, appena fuori dai limiti cittadini.
Il parco sottostante è carinissimo e tenuto perfettamente, anche qui gli operai sono di continuo al lavoro, senza sosta, per mantenerlo splendente.
Molte gite sono presenti in visita al castello (a dire il vero ho visto tante gite ovunque, in Giappone, sembra che gli studenti possano godere della loro vita scolastica) ed è sempre curioso osservare come tutti siano vestiti alla stessa maniera, in uniforme, senz’altro sono disciplinatissimi!
Salutiamo il castello.
E’ ora di pranzo.
Shimura san propone un ramen, io preferisco il katsudon, Tonkatsu posato su una ciotola di riso…godurioso…assaggio anche l’aizu ramen ordinato da Shimura san.
Torniamo al ristorante. E’ curioso come la signora Shimura usi dei guanti in pelle rossa per guidare, mi ricorda certi autisti di limousine!
Fino ad adesso mi sono “riposato”, pur svolgendo qualche piccola mansione, adesso è l’ora di ripagare per bene l’accoglienza della signora, che non si vergogna certo a chiedermi di tagliare la legna…ne avrò spaccato qualche quintale!
Al termine del lavoro pomeridiano, Shimura san mi rende i panni lavati in lavatrice e…porca miseria, mi ero dimenticato dentro la busta con i dollari!!! Adesso dovrò asciugarli tutti per bene!
Venerdì – arriva anche suo figlio Ko, lo specialista della pizza e del pane, che purtroppo non ho avuto modo di assaggiare: sarà per la prossima volta!.
A cena si mangia sempre giapponese: Karee raisu (riso al curry), ottimo!!!
La mattina del sabato è l’ultima per le caprette qui al ristorante, oggi se ne vanno a Koriyama (anche mia prossima destinazione) per trascorrere un inverno meno rigido (qui siamo a circa 900m e fa fresco già ora).
Domani sarà anche il mio ultimo giorno, la signora Shimura si sentirà più sola tutto insieme!
Vicino alla capanna dove stanno le caprette c’è un albero con dei frutti che sembrano ciliegie, ma mi avvicinano e questi sono fatti di tante forme poligonali: mi ricordano certi frutti che da piccolo potevo trovare all’interno del giochino dei pokemon, credevo fossero inventati e invece…!!!
AROMA TERASU ovvero Aroma Terrace, un angolo di Toscana, e di Italia, nel cuore del Giappone.
Dopo una settimana passata velocissimamente è già l’ora di salutare Shimura san e suo figlio: lei insiste perché torni, io scherzando le dico che in effetti c’è ancora da finire di tagliare la legna e lei scoppia a ridere annuendo!
Poco sotto il ristorante si trova il lago Hibara.
Un bello scorcio sul monte Bandai, dalla doppia vetta.
Pochi km oggi, circa 80; il GPS comincia a dare problemi, sceglie sempre strade lunghissime facendomi fare anche il 30% di km in più, non capisco perché, e così devo optare spesso per una navigazione a vista, nonostante questo sono finito in mezzo ai campi per arrivare dalla signora Watanabe, che mi accoglie calorosamente a Koriyama.
La prima sera andiamo al “World buffet” dove si mangiano cibi da tutto il mondo, all you can eat in 90 minuti al massimo: non ho foto, meglio così, perché non potete immaginare quanto abbiamo mangiato tra tutti!!!
Il giorno seguente è festa in Giappone, ed approfittiamo per fare una gita di “famiglia” verso la montagna, dove si trova un buon ristorantino che fa ricette a base di funghi e una spa (onsen) con acqua sulfurea molto benefica per la pelle.
Chizuru ci guida verso la periferia, anche lei indossa guanti in auto!
Guida bene, Watanabe san poi mi spiega che lavora nella ditta del padre Yuichi san come guidatrice di camion…apperò!!
Fuori dal ristorante compriamo un po’ di frutta, poi la signora Watanabe mi propone questa scatola…non capisco bene, poi aguzzo la vista e…riuscite a capire cosa sono??
Non vi sbagliate se pensate che siano cavallette (o grilli, chissà) e sono pure caramellate; a Chizuru non piacciono, troppo dolci, ed anche io decido di rimandare questo momento di follia gastronomica posando la scatola sul banco.
Vicino all’onsen c’è un bel giardinetto, ovunque sono ben curati e gli alberi hanno sempre una forma che sceglie il suo giardiniere, sembrano bonsai giganti.
La sera torniamo in città, nel centro di Koriyama, pieno di luci e molto suggestivo.
Ristorantini minuscoli si affacciano sulla strada.
Noi andiamo al Mikado, ristorante cino-giapponese, e condividiamo una gustosa cena a base di yaki soba, gamberi in salsa, katsu raisu..
Colazione! Ricchissima colazione, come sempre qua in Giappone, sembra che la mattina si consumi il pasto principale qua.
Adesso devo salutare una delle signore più calorose e simpatiche che abbia conosciuto in Giappone, ogni parola era una battuta su cui ridere, pur non capendo un accidente di giapponese il suo temperamento mi ha sempre messo di buonumore: grazie Watanabe san!
E grazie anche ad Akiko, sua amica che ha voluto regalarmi delle barrette-snack e la foto che ci siamo fatti insieme il giorno prima a casa sua.
Questa era la mia stanzetta su tatami.
I tre cagnolini che ci hanno tenuto compagnia per questi giorni.
E il box attrezzi a cui ho riparato la serratura e poi riverniciato come segno di riconoscimento verso tanta accoglienza per la signora Watanabe!
Prima di andare via, Chizuru apre il suo box e…sorpresa!
Dentro ci sono tre moto, di cui due sopra i 1000cc, la sua preferita è la Yamaha XJR 1300cc viola sulla destra…wow, che grande!!
Mi regala anche una foto accanto al suo gioiello, spettacolare, lei sembra uscita da un cartone giapponese!
Quasi tutti i giapponesi che ho conosciuto mi hanno regalato delle foto stampate, molto apprezzabile! Ho scoperto poi che le foto si stampano in modo semplicissimo al 7-11 e per pochi cent, così anche io ho stampato alcune foto e le ho spedite per posta alla signora Watanabe.
A presto Watanabe san!
Oggi mi aspettano poco più di 250km, con tappa intermedia ad Hitachi, al Seaside Park, bellissimo in certe stagioni, un po’ meno adesso che non ci sono fioriture e manca ancora qualche giorno alla stagione del rosso autunnale, peccato!
Ci tornerò magari..
Questa è la famosa collina che in primavera si tinge di azzurro.
Da un poster scopro che proprio tra qualche giorno, verso i primi di ottobre, questo sarà l’aspetto della collina.
Cavoli, che sfortuna! Ho provato a rielaborare su photoshop la prima foto, e se il poster non è troppo artefatto la collina dovrebbe presentarsi così.
Beh, spero di poter ammirare comunque questi colori in qualche parco di Tokyo.
Intanto mi godo la fine della camminata, notando come il parco sia ben tenuto e perfettamente adeguato ad una gita di un giorno intero.
Adesso, una carrellata di foto del parco.
All’interno si possono anche osservare due case in stile tradizionale, con ogni spiegazione di sorta per quanto riguarda materiali, tecnica costruttiva etc. etc.
Infine, in tarda serata, dopo aver preso tanta acqua (il braccio di un tifone è proprio adesso di passaggio nell’Honshu) arrivo a Joso, ad un passo da Tokyo, presso la base delle danzatrici giapponesi Manjushaka, e mi fanno trovare in tavola questo ben di dio!
La mia stanza: niente male!
Anche l’esterno non è poi così brutto, che dite?
10 donne vivono qui, un grande gruppo che mettendo insieme le proprie forze riesce a fare grandi cose!
Il fine delle Manjushaka è quello di portare un sorriso là dove le condizioni economiche, sociali e politiche non sono le migliori, tutto questo per beneficenza.
Anche qui per guadagnarmi pasti e posto letto ho lavorato un po’, ma stavolta sono salito di livello, da oggi posso usare anche la motosega!!!
Beh dai, ne vale la pena quando si mangia così bene!
Ci vediamo…alla YAMAHA!!!
Lunedì 29 settembre sarò ospite d’onore alla Yamaha ad Iwata, con ricevimento ufficiale, sessione fotografica, visita al museo, pranzo…sono emozionato!!!