Finirai per trovarla la via, se prima hai il coraggio di perderti... T. Terzani

From Russia with love

Wow, è già una settimana che sono ad Ulan Ude.

Città magnifica? Qualcosa di imperdibile? No…vi racconterò, ma ripartiamo da dove eravamo rimasti, UB.

Al Gana’s Guesthouse conosco tantissimi Viaggiatori di tutte le razze, tutti con la V maiuscola, e di fronte a loro devo inchinarmi per quanto sono esperti e spensierati.

Conosco un signore di Milano che ha come filosofia di vita il viaggio, ha ereditato una somma dal padre e non smetterà di viaggiare fino a che ce la farà, parole sue, tanto di cappello!

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Il dormitorio, 4€ al giorno, è situato sul tetto ed è composto di tante gher, carino anche se un po’…odoroso, diciamo!

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Riparto, la moto è a posto nonostante gli sterrati pessimi della Mongolia.

Mi sento un po’ solo, dopo aver affrontato 1800km in compagnia, e dopo aver vissuto la mia prima esperienza in ostello condividendo la giornata con tanti amici.

La strada non è male, ogni tanto devo prestare attenzione alle buche ma si scorre bene; mi fermo a mangiare, zuppetta di manzo con pasta fresca, energia calda che mi farà comodo.

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Arrivo a Sukhbataar, forse la seconda città della Mongolia, non c’è niente da vedere, ma all’orizzonte una tempesta si avvicina e mi preparo a prendere l’acqua indossando l’antipioggia Moto One.

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Un arcobaleno si fa spazio in uno strappo tra le nuvole, mi mette di buonumore.

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Arrivo in frontiera, mi aspetto lunghe operazioni, code interminabili, attese strenuanti, e invece…dopo aver fatto amicizia con una guardia doganale, ed essermi sentito augurare “Buon Viaggio!” in perfetto inglese, in un’ora sono fuori!

Russia, di nuovo, e mica ci credo!

Il paesaggio muta improvvisamente, ai lati della strada scorgo boschi di abete, in Mongolia solo verso la fine ho potuto vedere qualche albero non piantato artificialmente.

La strada è bagnata, non ho un buon presentimento…spero di poter arrivare ad Ulan Ude, poi mi ricordo del cambio del fuso orario e decido di fermarmi, sarei arrivato dopo le 23, troppo tardi.

Mi fermo in un caffè dove vedo 2 bici, magari sono due viaggiatori europei.

Così è, sono 2 francesi in viaggio verso Magadan, due matti direi, perché arriveranno lassù quando farà -30!

Comunque, ci godiamo un buon borsh caldo insieme e chiediamo di dormire in un posto sicuro, ci offrono il retro del Kafe e ci accontentiamo piantando la tenda.

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Purtroppo la mattina la sorpresa sarà trovare acqua su tutto il fondo della tenda, il telo verde è stata la mia maledizione.

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Ci auguriamo buon viaggio e ci salutiamo sperando di rivederci da qualche parte, sapendo che questo non avverrà forse mai.

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La strada per Ulan Ude è breve, solo 100km che scorrono lisci nonostante la pioggia e nonostante un problema “tecnico”: mancanza di benzina!

Sono in riserva da almeno 50km ed ho altri 30km di autonomia, forse, nessuna pompa di benzina nelle vicinanze, poi vedo un gruppo di fuoristrada che riconosco: li avevo già visti in Mongolia!

Mi offrono 1l della loro benzina per fornello, senza questa non sarei mai arrivato alla successiva stazione di servizio…il pieno è 24l, significa che dentro non ne avevo più di 1.5l.

La porta di Ulan Ude mi annuncia che sono entrato nella regione.

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Qui trovo Natasha e Rinchina, che mi aspettavano a casa, e subito si rendono molto disponibili offrendomi una doccia, un pasto caldo, ed a ruota un’escursione nel centro città, dove si trova la testa di Lenin più grande del mondo: quasi 8m per 42 tonnellate!

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Rinchina è Buriata, la popolazione che occupa storicamente questa parte di territorio, la Buriazia.

Le fattezze sono mongole, anche la lingua è simile, con alcuni termini ricorrenti, e la cucina pure, con base di carne, riso e ravioli; il suo modo di fare ricorda un po’ il Giappone, timida ed estremamente educata, ma forse questa non è una caratteristica comune dei Buriati.

I Buriati sono abbastanza ben integrati con i Russi, ma esistono ancora casi di razzismo.

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Appena fuori dal centro si osservano le tipiche case in legno.

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La giornata termina rapidamente e dopo una dormita su un bel letto la mattina mi sveglio col profumo di pancakes che Rinchina sta preparando.

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Pomeriggio libero.

Contatto Marta, una ragazza svizzera in viaggio verso in Giappone anche lei in moto, adesso via treno, e decidiamo di incontrarci in città.

Ovviamente lei è in perfetto orario, io, in ritardo…!

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Ci salutiamo dandoci appuntamento in Giappone come ci saremmo dati appuntamento al bar. Fantastico.

Torno a casa. Natasha ha un cugino che lavora alla fabbrica di aerei ed elicotteri di Ulan Ude, il quale è in grado di fornirci degli inviti allo spettacolo per la celebrazione dei 75 anni.

Incredibile, ho sempre guardato questi spettacoli in video su internet ed adesso i Mig sfrecciano a 100m sopra la mia testa compiendo mirabolanti acrobazie.

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C’è il pieno, davvero impossibile contare quante persone ci fossero.

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La sera spettacolo pirotecnico e poi a letto, non presto nonostante avessi deciso di andare al Baikal il giorno dopo.

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Parto tardi, è quasi mezzogiorno, devo fare 270km circa ma sembrano ottimi, scorrevoli, paesaggio non eccezionale ma piacevole.

Mi fermo per pranzo presso un fiume, scatolette e pane come al solito.

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Arrivo al Baikal, al parco nazionale della Holy Nose Peninsula, la strada negli ultimi 60km è stata pessima e qui c’è sabbia a tratti.

Non sono mai cascato in Mongolia, e qui stupidamente inciampo in un banco di sabbia e mi appoggio in terra a 10m dalla destinazione…fanc***!!!

Poco importa, mi sistemo nella spiaggia e subito mi viene dato il benvenuto da uno stormo di uccelli in postazione.

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L’acqua non è molto pulita, sarà colpa della sabbia, ed è fredda, ma non come immaginavo, sarà sui 10-15°C.

Sono freddoloso e non oso avvicinarmi se non per bagnarmi i piedi.

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Tutta la leggenda che sta dietro al Baikal, non riesco a percepirla: il lago più profondo del mondo, oltre 1600m, contenente 1/5 delle acque dolci del mondo, da qui non sembra così imponente e neanche il vento riesce a trasportare la sua anima, nascosta forse da troppe aspettative.

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Manovrare sulla sabbia è stato durissimo e mi concedo un paio d’ore di riposo in tenda prima di preparare un buon riso ai formaggi.

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Nel frattempo comincio a sfogliare pure il frasario di giapponese, e mi basta poco per capire che non sarà un’impresa semplice.

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Dopo un lungo e riposante sonno sulla sabbia rimetto tutto nelle borse e riparto un po’ assonnato.

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La strada all’interno del parco è carina. Sterrato, purtroppo a tratti toulée ondulée, ed abeti ai lati.

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Dopo pochi km mi fermo, è già ora di pranzo.

Trovo un piacevole posticino accando a dei laghi “figli” del Baikal.

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Ho ancora l’ultima scatoletta di pesce, con ribrezzo mi faccio coraggio e la finisco, dopo averle odiate per tutta la Mongolia.

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La sera, dopo essere tornato, giro due-tre supermercati cercando della mozzarella; voglio ricambiare l’ospitalità di Natasha e di suo padre preparando della pizza, ma purtroppo non c’è, sembra che ad Ulan Ude non si trovi niente di simile, così decido di improvvisare una schiacciata.

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Sono fortunato e mi riesce molto bene, il sapore è lo stesso di quella che preparo a casa, sono strafelice.

Loro apprezzano e il padre di Natasha addirittura afferma di non mangiare così bene da un sacco di tempo!

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La notte passa rapidamente e la mattina pianifichiamo con Natasha un giro in moto su consiglio di Rinchina, andremo a visitare il “leone che dorme”, una conformazione collinare che pare assomigli ad un leone.

Natasha è emozionata, ama le moto.

Oggi è il suo compleanno e regalarle un viaggetto in moto è il minimo.

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Dopo neanche 60km arriviamo e dalla cima della collina è possibile ammirare un fantastico scenario.

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Scendiamo a valle, vicino al fiume, e sistemiamo la tenda; il posto sembra sicuro.

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E’ ora di cena…un appuntamento come questo potrebbe farvi rompere con qualsiasi donna…scomodo a bestia, zuppa liofilizzata e moscerini…ma Natasha sembra gradire, è la prima volta che fa un’esperienza del genere e tutto è una sorpresa per lei.

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Il sole va giù ed il freddo comincia a calare, accendiamo il fuoco e cuociamo delle kartoshka (patate) direttamente sulla brace, deliziose.

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Si dorme…o perlomeno ci si prova. A domani.

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La mattina ci alziamo doloranti ed assonnati, e appena tornati a casa mi cimento di nuovo in cucina, nella preparazione di una torta, stavolta sarà torta alle carote.

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Il risultato non è il top ma qui tutti sembrano apprezzare, meglio così.

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Beh, che dire, ormai è una settimana che sono qui ad Ulan Ude, adesso avrete capito perché!

Domani dovrei ripartire, un po’ a malincuore devo dire, ma la mia missione ancora non è compiuta.

Tanti saluti!

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Categories: 2014, Racconti di viaggio

Ulaanbaatar. Ritorno all'Occidente.

Ripartiamo, con calma, un po’ delusi di non aver trovato una guida per andare al parco nazionale.

In moto sarebbero altri 800km andata e ritorno, tutti in fuoristrada, significherebbe 3-4 giorni di guida; rischioso, siamo già molto stanchi.

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Mancano pochi km ad Arvaikheer, dove i miei amici torinesi sanno che c’è una missione cattolica presieduta da Padre Marengo.

Appena arrivati, sono le 13, ci fermiamo per trovare un posticino per mangiare le solite aringhe, intanto chiediamo ad un signore se conoscesse il Padre.

Una telefonata, due parole in inglese, ed il signore ci accompagna con la sua jeep fino alla missione…incredibile, trovata al primo colpo!

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La chiesa è realizzata in una gher, per dare meno nell’occhio.

Le famiglie si avvicinano alla missione perché qui offrono docce gratuite 2 volte alla settimana, asilo gratuito ed una serie di servizi che in città non si sognano neanche.

Una presenza silenziosa ed importante, non invasiva a quanto ci è parso.

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Ma sono le 13 passate, e la fame aumenta…ci chiedono se abbiamo mangiato..no…neanche a farlo apposta siamo arrivati qui per pranzo e senza batter ciglio le due suore ci preparano delle ottime farfalle al pesto, con frittata, formaggio, pane e dolce finale!!!

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Dopo una chiacchierata sulla cultura mongola e su come la missione sia nata e cresciuta, ci spostiamo a visitare gli altri locali.

I mongoli usano questo ricovero per fare tutto quello che non è permesso a casa loro.

Facebook spopola anche qui.

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Nell’asilo stanno circa 20 bambini, che il primo mese di frequentazione di solito ingrassano di 3-4kg. Tutta salute!

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Questo qua sotto è un bambino, ha i capelli lunghi perché ancora non ha 3 anni, età alla quale gli verranno tagliati a simbolo del passaggio dell’età più critica.

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Ci salutiamo tra mille sorrisi e promesse, è stato bello soggiornare qui seppur per poco.

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Sulla strada per Kharkhorin, la vecchia capitale, non è raro vedere gher e bambini che giocano vicino alla strada.

Due di loro stavano piangendo per non so cosa.

Li chiamo a me, si avvicinano, gli regalo alcuni adesivi, torna il sorriso e si mettono in posa per una foto.

Come soldatini.

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Proseguiamo, le tracce nella valle si moltiplicano.

A volte diventano 10, forse 15, hai l’imbarazzo della scelta.

L’attenzione però va sempre mantenuta alta, sia per la presenza di sabbia a tratti che fa imbarcare la moto, sia per i guidatori mongoli, che non si fanno scrupoli a passarti radente pur di proseguire il loro cammino.

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Incrociamo un tempio buddista in stile tibetano.

Quasi abbandonato.

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Dopo la breve visita ci fermiamo a pochi km dalla città, in un hotel con campo gher, contrattiamo il prezzo ma è veramente difficile spuntarla, otteniamo 10.000 Tugrit a testa per dormire e doccia.

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 Mangiamo nella gavetta una calda minestra di pasta e fagioli con secondo di tonno e piselli.

Niente male.

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La mattina ci svegliamo con la pioggia ed il freddo.

Imbottisco la tuta Moto One, indosso l’antipioggia.

Tutti bardati partiamo alla volta dei templi della vecchia capitale dei tempi di Gengis Khan, il sanguinario imperatore mongolo vissuto nel 1200.

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Un’ora è più che sufficiente per osservarne la storia.

Rimontiamo in sella.

Qualche sprazzo di sole apre il cielo.

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E’ ora di pranzo, e tante sono adesso le occasioni per mangiare, ci stiamo riavvicinando alla “civiltà” e le strade sono costellate di locali dove si fa cucina locale.

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La preparazione delle vivande non è proprio asettica, diciamo..

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Ma l’aspetto finale ed il gusto sono davvero ottimi!

Non so perché ma quando viaggio ho sempre una fame bestiale e quando vedo questi piatti li divoro.

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Proseguiamo, la strada è asfaltata, ma è peggio delle piste.

Delle buche che potrebbero inghiottire un’auto si aprono lacerando la superficie scura dell’asfalto, ogni tanto quest’ultimo lascia posto a tratti sterrati con sassi grossi, le vibrazioni sono tremende, ed il pericolo aumenta quando l’asfalto si fa nuovamente liscio ed acceleriamo, ignorando che la prossima buca è lì dietro l’angolo pronta a far saltare i paraolii di Alex o a farci ondeggiare paurosamente.

Le auto non si fanno scrupoli a frenare improvvisamente o spostarsi sull’altra corsia per evitare le asperità, costituendo un gran rischio per noi.

Arriviamo finalmente ad Ulaanbaatar.

La strada è migliorata negli ultimi km, ma il traffico è veramente caotico.

Ci manteniamo in fila ed uniti, in gruppo, mentre attorno è l’anarchia, clacson, sorpassi azzardati, cambiamenti di traiettoria improvvisi: bisogna stare in tensione ogni secondo per evitare il peggio.

Arriviamo al Golden Gobi. Pieno! Ripieghiamo sul Gana’s Guesthouse, in mezzo al campo gher, un posticino non proprio consigliabile, ma hanno una specie di cortile interno dove ricoveriamo le moto.

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Le stanze non sono il top a pulizia ma i letti sono comodi e la doccia è calda.

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La sera siamo stanchi e non abbiamo voglia di cucinare, ci permettiamo un ristorante coreano per riempire le nostre pance, e godiamo quando ci viene servito questo bendiddio.

Tutto molto speziato, ma ottimo. 8€, neanche.

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Il giorno seguente facciamo un breve tour per UB, la mattinata parte per acquisto dei souvenir da parte degli amici torinesi, io skippo, odio comprare souvenir.

UB è una città moderna, all’occidentale, grandi palazzi e nuove costruzioni si fanno spazio dove una volta c’erano delle gher e campi nomadi.

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E’ il compleanno di Damiano e festeggiamo con un pranzo mongolo.

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Qui siamo proprio nel centro, niente di speciale, una grande piazza, un grande palazzo per il governo, la statua di Sukhbaatar al centro, eroe mongolo che li ha resi indipendenti dalla Cina, ed all’interno dell’ingresso, la rappresentazione del grasso Gengis Khan.DSC01478
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Vicino alla guesthouse c’è anche un tempio, purtroppo è chiuso ma anche da fuori è molto pittoresco.

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Per cena facciamo di nuovo festa, prepariamo un chilo e mezzo di spaghetti alla carbonara, ma mancano sale, formaggio ed abbiamo pure poca pancetta…i locali apprezzano ma gli confidiamo che una carbonara così fatta in Italia può significare la galera!

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Di nuovo mattina.

Ci separiamo, Guglielmo, Damiano ed Alex mi salutano puntando verso la Russia, ammetto che mi dispiace, dopo aver vissuto una tale esperienza insieme.

Ma la mia strada è ancora verso Est.

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